QUELLO CHE NON VI DICONO SULLA CARNE BIANCA
Non è solo la carne rossa a presentare possibili inconvenienti. Gli allevatori vogliono ottenere più resa possibile anche da animali di non grossa taglia come i polli. Il pollame è stato così “riprogettato” affinché avesse più carne. Come? Tenendolo in spazi angusti a ingozzarsi di cereali: pollai piccoli e bui, senza finestre, a ventilazione meccanica. In questo modo, rispetto a 50 anni fa, i polli oggi crescono nella metà del tempo e diventano il doppio. E se si può far crescere un pollo in 47 giorni, perché mai se ne dovrebbe volere uno che necessita di oltre due mesi? Quando poi da un pulcino in sette settimane ti ritrovi un pollo di due chili e mezzo, le ossa e i suoi organi interni non riescono ad adattarsi a questa crescita così rapida. Molti di questi polli riescono a fare solo pochi passi nel pollaio, dopodichè crollano e si mettono a sedere perché non reggono il proprio peso.
Per le galline ovaiole va anche peggio. Vengono messe dentro gabbie di ferro strettissime, assiepate a gruppi di sei, e lì trascorrono la loro breve vita. A un certo punto iniziano ad avere un comportamento aggressivo, si aggrediscono tra loro e cercano di sbranarsi, tanto che per evitare ciò viene strappato loro il becco. Strofinano il petto sulle grate fino a perdere le piume e sanguinare. Per questo i polli da carne non vengono messi ingabbia: sarebbe un peccato rovinare tanta carne pregiata.
Il dieci percento di queste galline non ce la fa, e muore in gabbia. Gli allevatori se lo aspettano e allora quando vedono la produzione di uova calare, sottopongono le chiocce rimaste alla cosiddetta “muta forzata”: vengono private di cibo, acqua e luce per giorni e giorni, in modo da provocare un’ultima deposizione di uova prima della fine. Va da sé che in questo modo anche le uova finiscono per vedere modificata la propria composizione originale, impoverendosi di preziosi acidi grassi polinsaturi e arricchendosi di saturi. Senza contare l’aggiunta di antibiotici al mangime: i batteri diventano resistenti e gli antibiotici non funzionano più su di noi, che sviluppiamo una sorta di resistenza agli stessi… E poi il resto della storia lo conoscete già.
Il colore della carne è una delle prime qualità, se non la prima, percepite dal consumatore. Su di esso incidono vari fattori: l’età dell'animale, le condizioni di vita, quelle di macellazione, la frollatura e non ultima l'alimentazione. Per le carni rosse, un colore più scuro è interpretato come sinonimo di buona qualità, anche se non è sempre così dal momento che - proprio perché è il colore la prima qualità a colpire il consumatore - vengono spesso utilizzati additivi per “ravvivare” lo stesso.
Per le carni bianche, la colorazione di una specie allevata a cereali (quindi in batteria) tende più verso il giallo, le masse muscolari sono più flaccide e pallide, di gusto più insipido, mentre abbonda il grasso di copertura. Gli esemplari cresciuti in libertà, invece, tendono ad avere un colore più scuro (rosa intenso), con muscoli densi, ben attaccati all’osso, di sapore gustoso, oltre che ad avere meno grasso proprio perché si muovono di più.
Alleva un pollo = allena un pollo.
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Moreno (venerdì, 02 maggio 2014 23:07)
Molto interessante e di piacevole lettura !
Complimenti !