Lo spazio delle spezie
Prima che si iniziassero a utilizzare nitriti e nitrati, le carni grasse venivano conservate grazie all’impiego delle spezie (oltre che del sodio). Tuttora molti produttori continuano a utilizzarle nella preparazione dei salumi per evitare l’impiego massiccio di conservanti di sintesi.
Origano, rosmarino, salvia, curry, pepe, chiodi di garofano: ognuna di esse contiene dei componenti antiossidanti, chiamati polifenoli, in grado di contrastare l’alterazione a cui vanno incontro i lipidi. I grassi sottoposti a conservazione o a cottura, soprattutto quelli insaturi (e ricordiamo che prima della domesticazione tutti gli animali mangiavano allo stato brado, per cui le loro carni erano ricche di grassi polinsaturi), vanno infatti incontro a irrancidimento. L’impiego delle spezie contrasta questa alterazione.
Tali proprietà non si esplicano solo sul cibo ma anche sull'uomo, in cui questi antiossidanti sono in grado di limitare il cosiddetto "stress ossidativo post prandiale".
Mangiamo di più e più spesso rispetto al passato. Soprattutto troppi carboidrati: pane, pasta, patate, frutta, dolci, bevande zuccherate… Un fiume in piena di zuccheri si riversa nel torrente ematico e una volta metabolizzato darà origine a una grande produzione di radicali liberi, che a loro volta genereranno ulteriori ossidazioni a carico soprattutto dei grassi insaturi (che di loro sono magari stati pure già ossidati dai processi di cottura).
Ne vengono fuori prodotti come gli idroperossidi (dagli oli di semi) e gli ossisteroli (dal colesterolo), che reagiranno con i metalli delle carni rosse (ferro e rame su tutti) avviando i processi di ossidazione a carico delle Ldl, con conseguente rischio di aterosclerosi.
Ecco allora che le proprietà delle spezie risultano fondamentali. La capsaicina del peperoncino, ad esempio, è in grado di abbassare i livelli di colesterolo e di ridurre così il rischio di attacco cardiaco. Inoltre blocca l’azione di un gene che controlla la contrazione delle arterie, consentendo in tal modo un maggior afflusso di sangue verso tutti gli organi.
L’aglio è un alimento che ha azioni analoghe. L’acido solfidrico di cui è ricco ha proprietà simili all’ossido nitrico, cioè vasodilatatorie (e al contrario dell’ossido nitrico è privo di effetti collaterali).
E siccome gran parte degli ossidanti viene generata durante la cottura del cibo, è proprio in quella fase che sarebbe bene utilizzare le spezie per cercare di attenuare tali reazioni.
Proprio l’aglio è un esempio di queste peculiarità. È ricco di antiossidanti, che però possono esplicare la loro azione solo se l'aglio crudo è masticato o tagliato o frantumato. In quel caso cellule della pianta vengono disgregate e i composti antiossidanti diventano attivi e resistenti al calore. La cottura dell’aglio intero, invece, distrugge l'enzima e annulla gli effetti biologici.
Quindi, messo da parte il palestrante alienato che ragiona in termini di “Che-me-ne-fotte-a-me-guaglio’-io-non-friggo-mai!” e premesso che è sempre bene non friggere, quelle poche volte che lo si farà l’utilizzo del trito d’aglio tornerà particolarmente vantaggioso; al contrario, buttare lo spicchio intero in padella servirà a ben poco.
Ma i precetti paleolitici vi dicono che dovete fare assolutamente a meno di ogni “insaporitore”, dovete mangiare il cibo così com’è, raccolto dal campo e mangiato. Come le capre. Contenti voi…
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