Dacci oggi il nostro pane

 

 

Quando vengono a visita dei pazienti presso il mio studio, all’anamnesi alimentare quasi sempre dimenticano di menzionarmi il pane che consumano. Tanto che devo essere io a chiedere “E pane ne mangia?”, al che loro mi rispondono “Ah sì, certo, il pane…”. E allora escono fuori trecce, ciabatte, filoni, sfilatini... 

 

È qualcosa che fa parte radicalmente del pasto italiano, anche più della pasta.

 

Perché lo mangiamo? E perché proprio quello bianco di frumento? Pensate sia un caso? Non è così.

 

Per millenni il frumento è stato solo una delle tante specie coltivate. A un certo punto diventa invece l'alimento-base della dieta umana a livello mondiale. Perché? 

Il frumento è facile da trebbiare grazie alla facilità con cui i chicchi cadono dalla spiga, ma è difficile da coltivare e prospera solo con attente annaffiature (i periodi di siccità sono un dramma). 

 

Colture come il farro, se adeguatamente concimate, hanno una resa di gran lunga superiore a quella del frumento (1). Anche l’orzo sarebbe stata una coltivazione più ideale del frumento, essendo sia più robusta sia più adatta dire ai diversi climi e ambienti. E nutrizionalmente non presenta svantaggi rispetto al frumento (2, 3).

 

Perché allora proprio il frumento? La vera motivazione è un’altra. 

A partire dal medioevo, due coltivazioni fino a quel momento minoritarie si imposero in Europa: frumento a ovest, segale a est. Non a caso. A oriente si adoravano più divinità, alcune delle quali legate all’agricoltura e raffigurate con in mano un fascio di segale. Nell’Europa occidentale si adorava invece un solo dio, il corpo del cui figlio, Cristo, era simboleggiato da un’ostia fatta con la farina di frumento. 

 

Così il pane nero di segale finì per rappresentare l’Europa pagana, mentre quello bianco di frumento simboleggiava l'Europa cristiana (4). 

 

Questo ha segnato anche una netta divisione culturale tra due grandi aree dell’Europa: il mondo agiato dei romani da una parte, quello dei diseredati e degli esclusi dall’altro. 

La lava eruttata a Pompei nel 79 dopo Cristo ha sigillato i panifici della città e gran parte della loro produzione di pane. Il pane più diffuso era il panis quadratus, pagnotte di forma rotonda con sul dorso due incisioni sovrapposte a forma di croce praticate prima di infornare. 

 

Il pane è l’alimento di condivisione per eccellenza, quello da consumare in gruppo: “compagnia” deriva dal latino cum panis, insieme al pane. La scampagnata tra amici prevede colazioni al sacco con panini. 

“Egli prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiatene tutti”. È il pasto condiviso per eccellenza. Betlemme significa "casa del pane".

 

Il bianco rappresenta la purezza; in inglese frumento si dice “wheat”, che significa anche “bianco”.

 

Insieme al pesce e al vino, il pane è l’alimento caratterizzante la frugalità del pasto cristiano (5, 6, 7). 

Sui muri di una piccola cappella sotterranea nelle catacombe di Priscilla, a Roma, si trova un affresco del secondo secolo dC, che mostra sei commensali semisdraiati sullo stibadium. In primo piano due grandi piatti di ceramica: in uno i pani, nell’altro i pesci. Accanto ai piatti c’è una coppa a doppio manico ripiena di vino. Ancora una volta l’elemento centrale è la condivisione del cibo. Uno dei commensali è raffigurato nell'atto di spezzare il pane, da cui il nome fractio panis (8) dato successivamente all’affresco. 

I monaci solitari che attraversavano i deserti dell’Egitto e del Sinai conducevano un’esistenza  molto austera, vivendo in caverne e ripari sotto le rocce. Avevano il pane, ma quel poco a loro disposizione lo riservavano a contesti particolari: ogni domenica mattina, dopo una notte di preghiere, insieme al piccolo gruppo di eremiti al loro seguito rievocavano l’Ultima cena di Cristo, spezzando il tozzo di pane per entrare in comunione con il loro Dio.

 

Altri invece mangiavano pane, datteri e acqua per tutti i giorni della settimana, per poi concedersi cibi cotti e un po’ di vino alla domenica, dopo la comunione (9). 

La stessa Ultima cena è un’esaltazione della frugalità. Secondo il Vangelo commemorava gli eventi che si pensava avessero avuto luogo mille anni prima, quando poco prima della fuga dall’Egitto e dalla schiavitù, gli israeliti si erano radunati per arrostire un agnello non eviscerato e per infornare il loro pane senza lievito.

 

Tuttora molti credenti digiunano nel periodo della Quaresima, nutrendosi al massimo di solo pane, perché secondo la tradizione il digiuno o il pasto frugale avvicinano al Signore. 

Il frumento seguì il cristianesimo nella sua espansione mondiale, in un processo per il quale fu coniato il termine di “cerealizzazione” (10).

 

Quando Colombo sbarcò in America, proseguì questo processo di evangelizzazione. Insieme ad alcune specie animali (cavalli, buoi, vacche, maiali), portò con sé dall’Europa i due elementi simbolo della cristianità: l’uva e il frumento. Doveva imporre quelle coltivazioni tipicamente europee in un posto in cui cresceva invece rigoglioso il mais, seme che per le comunità amerindie aveva profondi significati simbolici. E lo fece con la forza e con il sangue. 

In cambio importò dall'America banane, zucchero, cotone, riso, patate, pomodori, tacchini, tabacco e schiavi . Tutto questo ebbe un impatto radicale da un lato sull’ambiente americano, trasformandone per sempre i paesaggi, e dall’altro sulla dieta degli europei che venne stravolta. Si parla di “scambio colombiano” (11, 12).


Ma Colombo non se ne tornò solo con cibo. Importò qualcosa di più prezioso. Frumento in cambio di oro e argento, uno scambio equo. In nome di Dio. Una grossa quota di quei preziosi finì in Spagna, a Toledo, 70 chilometri a sud di Madrid, dove andò a formare un’opera impressionante alta quasi cinque metri, l’ostensorio di Toledo. Ma non sono quei metalli il vero oggetto di valore, quanto quello che vanno a circondare: un piccolo, sottile disco di pane bianco di frumento che rappresenta il corpo di Cristo, l’ostia (13).

Nei luoghi in cui non attecchì il cristianesimo col suo frumento, vedi in Cina, si impose il riso. Andate al ristorante cinese e provate a chiedere del pane, al massimo vi porteranno dei grissini.

 

L’alimentazione rispecchia ideologie secolari, consigliare agli italiani di eliminare per sempre dalla propria dieta un alimento come il pane che sin dall'infanzia costituisce una base portante della loro cultura e della loro religione è un atto di violenza sulle loro tradizioni, nonché un buco nell’acqua da preventivare. 

 

N.B. In questo articolo non è stato fatto alcun uso della parola “glutine”. 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

1. Reynolds, 1979.

2. Hunter, 1952.

3. Briggs, 1978.

4. Jones, 2009. 

5. Hawthorne, 1997.

6. Vroom, 2003.

7. Garnsey, 1999.

8. Wilpert, 1896.

9. Hirschfeld, 1992.

10. Bartlett, 1993.

11. Crosby, 1972, 1986.

12. Fernández-Armesto, 2001.

13. Malagon-Barcelo, 1963.

 

 

 

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Commenti: 2
  • #1

    Maria (giovedì, 07 agosto 2014 12:14)

    A proposito di glutine....cosa ne pensa in merito?

  • #2

    Giuseppe Musolino (lunedì, 13 luglio 2015 01:47)

    Penso che dietro ci siano tre elementi che quando si combinano possono creare la formula perfetta: ignoranza di alcuni, terrorismo di altri e marketing di altri ancora. Trovi qualcosa qui: http://musolino.jimdo.com/neverpressed/food/il-tranello-del-gluten-free/