Bliss point
Come l'industria alimentare crea dipendenza
Hai visto che tramonto, Truman? È perfetto. Merito del grande Capo.
Ha un pennello fantastico.
(The Truman Show)
Tutti noi pensiamo di essere liberi nelle nostre scelte, ma in realtà facciamo parte di un grande “Truman Show” dove tutto è già programmato da qualcun altro. Ed è un errore pensare alla sola pubblicità come mezzo di manipolazione di massa. Le aziende alimentari utilizzano altri elementi per veicolare i nostri acquisti. Questi elementi sono i nutrienti, tre in particolare: zucchero, grassi e sale.
Giocando con questi ingredienti, nei loro laboratori elaborano dei grafici da cui viene fuori il cosiddetto bliss point, il “punto di beatitudine”, ossia l’esatta quantità di zucchero, grassi o sale che creerà il massimo apprezzamento nei consumatori.
Da questi grafici viene fuori una U capovolta. Significa che l’apprezzamento di quel dato prodotto aumenta in maniera proporzionale con l’incremento di zucchero, grassi e sale.
Ciò avviene però solo fino a un certo punto, noto come “punto di rottura”; oltre tale picco, aggiungere altro zucchero, altri grassi o altro sale non diventa solo uno spreco ma diminuisce l’attrazione verso quel cibo. L’alimento infatti deve stimolare le papille gustative ma non sopraffare il cervello al punto da fargli emettere il segnale di stop.
In principio i “junk food”, erano stati immaginati per un consumo occasionale, non quotidiano come è diventato oggi.
E sempre inizialmente, il bliss point non era nato per ragioni commerciali ma per andare incontro alle necessità delle Forze Armate. Quando sono impegnati in missioni di combattimento, i soldati molto spesso riducono l’apporto alimentare finendo per non introdurre tutte le calorie di cui hanno bisogno.
Ciò accadeva fino a un recente passato, perché le razioni militari tendevano a essere poco appetibili. Queste andavano sotto il nome di Razione K (dal nome dell'ideatore Ancel Keys, lo stesso scopritore della dieta mediterranea).
I soldati si stancavano in fretta di quei cibi e tendevano a consumarne quantità insufficienti. Se una situazione del genere si protrae a lungo, il peso inizia a scendere e il soggetto a indebolirsi. Così sono state studiate razioni che li invogliassero a mangiare di più e oggi ogni soldato ha una borsa con pasti disidratati nota come MRE (Meal, Ready to Eat, “pasto pronto da mangiare”) in cui sono presenti tortellini al ragù, ravioli al formaggio, manzo ai funghi, crackers, plumcake, muffin, barrette e bevande varie.
Zucchero, grassi e sale sono strumenti potentissimi per indurci a mangiare di più. Quando consumiamo questi alimenti, alcune zone del cervello hanno dimostrato di “accendersi” alla risonanza magnetica nello stesso modo di quando si assumono sostanze stupefacenti come la cocaina.
Zucchero e grassi inducono la produzione di dopamina e questa stimola il Nucleus Accumbens e altre aree cerebrali note nel loro insieme come “centri della gratificazione”, generando sensazioni di piacere.
Il paragone con la cocaina non è casuale, poiché oltre ad accendere le stesse zone nel cervello, le reazioni suscitate nel consumatore sono le stesse di quelle determinate dagli stupefacenti: piacere da un lato e dipendenza dall’altro (i ratti privati di una dieta zuccherina mostrano sintomi da astinenza, per esempio battono i denti). Ciò che vuole qualunque azienda, e cioè che il consumatore desideri di nuovo quel prodotto e lo vada a comprare e ricomprare e ricomprare.
Anche la sistemazione di alcuni articoli vicino alle casse nei supermercati non è casuale. In quel punto non ci troverete la carne, il pesce, la frutta o la verdura, ma caramelle, cioccolate, gelati, bibite zuccherate. Lì i consumatori, vuoi per la noia, vuoi per la fame, vengono colti in un momento di debolezza e ci sono molte probabilità che effettuino acquisti non preventivati.
Tutto ciò non riguarda solo il cervello. I recettori per lo zucchero sono diffusi in tutto il sistema digestivo e sulla lingua. Anzi, è fondamentale che il cibo passi per via orale, altrimenti non avviene l’attivazione di questi sensori né di conseguenza il raggiungimento del punto di rottura. Somministrando in alcuni studi un’infusione di glucosio, infatti, i soggetti non riducevano in alcun modo la loro alimentazione. Assumevano quelle calorie extra di glucosio come se fossero invisibili. È come se il sistema nervoso non li riconoscesse.
Questo potere di stimolare il desiderio di cibo è stato dimostrato in diversi esperimenti. I ratti odiano gli spazi aperti; persino nelle gabbie tendono a restare negli angoli e sui lati in ombra. Ma una volta messi dei cereali iperzuccherati al centro della gabbia (di solito una zona da evitare) hanno vinto qualunque paura e vi ci sono fiondati sopra.
In un altro studio si è cercato di far aumentare di peso sempre i ratti. È stato dato loro il normale cibo per animali in abbondanza; ma niente, non riuscivano a consumarne a sufficienza. Appena resi disponibili biscotti, caramelle e altri prodotti ricchi di zucchero, i ratti sono impazziti e hanno preso a mangiarne così tanto da diventare obesi nel giro di qualche settimana.
In un’altra ricerca, le cavie sono state indotte ad aspettarsi una scossa elettrica quando mangiavano un determinato cibo. Ancora una volta niente da fare, vi si lanciavano sopra.
L’industria ha anche modificato la forma fisica e la struttura di grasso, zucchero e sale per far sì che l'assorbimento degli stessi a livello orale fosse modulato a proprio vantaggio.
Per esempio è stata modificata la forma fisica delle molecole di sale fino a ottenere una polvere sottile che colpisce le papille gustative in modo da “accarezzarle” e non stordirle. Stessa cosa per lo zucchero e ancor più per il fruttosio, che è stato modificato in ancora più modi. E stessa cosa anche per i globuli di grasso, modificati per influire sul loro tasso di assorbimento e sulla sensazione al palato.
Ovviamente non ci sono solo zucchero, sale e grassi. Le aziende utilizzano anche molti altri elementi di sintesi, ma è dimostrato che quei tre sono in grado di veicolare i nostri desideri alimentari più di tutti.
Lo zucchero soprattutto è tanto potente da poterci costringere a mangiare più del dovuto. Non a caso è aggiunto in una miriade di prodotti.
Per aumentare la fidelizzazione nei bambini e verso i loro genitori ci si è serviti della frutta. Di questa però si è utilizzata solo l’immagine, per sfruttare l’idea comune della frutta come alimento salutare.
In realtà si è impiegato il succo estratto dalla frutta per ottenerne un prodotto da impiegare come dolcificante. Ma quando un nutriente viene estratto dal suo sito d’origine finisce per perdere molte delle caratteristiche originarie. Infatti quello estratto dalla frutta finisce per non essere altro che zucchero.
E per farlo passare inosservato lo si è chiamato «concentrato di succo di frutta» (stripped juice), che è puro zucchero, privo di fibra, vitamine, aromi e qualsiasi altro attributo da noi associato alla vera frutta. Solo che leggere “succo di mela” piuttosto che “zucchero” fa tutto un altro effetto sul consumatore.
Discorso analogo per il sodio, addizionato in quasi tutti gli alimenti trasformati perché aiuta ad aumentarne il gradimento e di conseguenza a incentivarne il consumo. Come per lo zucchero, anche per il sale esiste un vero e proprio desiderio compulsivo (craving) e una forma di dipendenza.
Un po’ diverso da zucchero e sale è invece il grasso. Per i grassi non è stato scoperto alcun recettore di questo genere, ma l’industria li sfrutta allo stesso modo.
Il grasso aggiunto ad alcuni alimenti fa sì che questi si sciolgano in bocca in maniera quasi eterea. Questo significa che il cervello è come se fosse ingannato, perché è indotto a pensare che quel cibo anche poco voluminoso abbia meno calorie di quante ne possieda realmente. Basti pensare alla cioccolata, ai popcorn, ai gelati… Si potrebbe andare avanti a mangiarne all’infinito (si chiama “densità calorica evanescente”).
I grassi fanno anche altro. Hanno la capacità di modulare la trasmissione di altri sapori presenti nei cibi. Ad esempio, se mangiamo della panna da cucina il sapore è obiettivamente poco esaltante. Ma quando questa è inserita scientemente in un determinato alimento, è in grado di operare una sorta di magia.
Va a rivestire le papille gustative della lingua così che queste siano schermate dall’arrivo degli altri sapori presenti nell’alimento stesso. In questo modo il cervello non viene inondato dagli ingredienti in modo violento, ma anzi questi vengono filtrati e fatti passare gradualmente in maniera che il cervello stesso dica “ancora”. Cioè i grassi prolungano il piacere.
Quando ai grassi si aggiunge un po’ di zucchero, questa combinazione crea un’interazione che non fa altro che aumentare i livelli di attrazione verso quel prodotto. Perché anche in questo caso avviene un’altra sorta di magia.
Il cervello del consumatore è cioè portato a pensare che il grasso sia meno di quello che è in realtà. Significa che le strutture cerebrali non riconoscono l’effettiva quantità di grasso e ritardano l'emissione del segnale di “stop”. Proprio quello che vuole l’industria.
La domanda a questo punto è: come se ne esce? E soprattutto, se ne esce? La risposta è sì. Innanzitutto, la dipendenza da zucchero e sale può essere ridotta senza difficoltà. È sufficiente smettere per qualche tempo di consumare cibi industriali (dalla mia esperienza possono bastare anche meno di due mesi).
Occorre riabituare il palato e il cervello ad apprezzare gli alimenti naturali. Cibi non addizionati di troppo sale e possibilmente non addizionati affatto da zucchero e grassi. Che senso ha arricchire il pane di grassi? E aggiungere zuccheri al succo di frutta? E zucchero alla macedonia? E zucchero al latte? E sale alle mandorle? E olio alle olive?
Se ci si abitua a quei sapori, il pane senza grassi farà schifo, la frutta senza zuccheri sembrerà aspra, le olive senza olio avranno poco gusto… In maniera particolare è importante che i piccoli conoscano i sapori dei prodotti industriali il più tardi possibile, perché è in quell’età che prende origine l’orientamento delle future preferenze alimentari. Invece giù con merendine, caramelle, cioccolate… E ci ritroviamo bambini che disgustano il pesce che non sia impanato, la carne, la frutta, le verdure.
Prendete seriamente il cibo o il cibo si prenderà gioco di voi.
BIBLIOGRAFIA
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Moss M, Salt, sugar, fat: how the food giants hooked us, Random House,
2014.
- Morris M et al, Salt craving: the psychobiology of pathogenic sodium intake, Physiological Behavior, XCIV, 4, 709-721, 2008.
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- Hurley SW, Johnson AK, The biopsychology of salt hunger and sodium deficiency, Pflugers Arch, 467 (3), 445-56, 2015.
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