L’esercizio fisico compulsivo è una condizione descritta sin dagli anni Settanta (1). È caratterizzato da un craving per l’attività fisica, cioè c’è una necessità incontrollabile di praticarla, con conseguenze dannose che possono coprire vari ambiti: infortuni, alterazioni dell’umore, compromissione dei rapporti sociali e familiari.

 

Normalmente lo sport ha il compito di conferire un senso di benessere fisico e mentale. In un contesto di normalità, il comportamento è sotto controllo e si è in grado di interrompere quando preventivato; quando invece allenarsi diventa un impulso incontrollabile, si è di fronte a un problema. 

 

Si arriva a un impoverimento (eccessiva sicurezza, cinismo, sentimenti di disprezzo per chi si dedica ad attività non lavorative e sbalzi d'umore da depressione a euforia), ad aggressività costante in ambito familiare, a maggiore probabilità di separazioni.

 

Possiamo identificare tre livelli:

1. rischio: l’allenamento diventa l’unica strategia di coping per affrontare il distress;

2.  problema: l’intera vita viene organizzata in funzione dello sport;

3. addiction: l’esercizio è totalmente fuori controllo e sopravviene il rischio di depressione.

Per poter parlare di addiction, il requisito essenziale è che ci si trovi in una condizione in cui l’attività fisica finisce per dominare in modo crescente l’intera vita e viene trascurato ogni altro aspetto: famiglia, persona, lavoro, amici, casa (2).

 

Altrimenti si può parlare di “compulsione”: l'attività fisica diventa un modo per sostenere una precisa routine, con il compito di conferire un senso di controllo e di superiorità morale.

 

Due caratteristiche sono ben evidenti:

· solitudine: c’è il bisogno di condurre gli allenamenti in solitaria, sia perché nessuno vuole sostenere quel ritmo, sia perché non si vuole nessuno al proprio fianco che possa giudicare; 

· inganno: si mente in merito all'attività fisica svolta (“Non è vero che ne faccio troppa”, “Sono giorni che non mi alleno”). 

 

Grande quantità di tempo viene destinata non solo all’allenamento in sé ma anche alla preparazione e alla fase di recupero dallo stesso.

 

Malgrado la consapevolezza che stia creando problemi fisici psicologici o interpersonali, l'attività fisica continua. Anzi, viene progressivamente aumentata, soprattutto in volume, con l’intento di amplificare l’effetto (psicologico) desiderato. A quel punto, ridurre l'allenamento risulta impensabile.

 

Il desiderio di controllare o ridurre l'attività fisica c’è, anzi è continuo e assillante, ma infruttuoso. Perciò la persona si trova compressa tra il bisogno compulsivo di praticare attività fisica e il tentativo vano di ridurla. Perciò la frustrazione cresce

 

È molto probabile che alla base ci sia una personalità narcisistica (3), con un’esagerata preoccupazione per l’immagine corporea.

 

Fa parte di quelle dipendenze comportamentali (DC) che si presentano come comportamenti ripetuti, compulsivi, problematici o invalidanti. Sono assimilabili a quelli da uso di sostanze, nel senso che esiste una fase di dipendenza e una di astinenza, con ansia, irritabilità, perdita di controllo, problemi legati al sonno, alterazione dei rapporti familiari e sociali. Certo, rispetto ad altre dipendenze (es. droghe) si potrebbe considerare una dipendenza positiva, invece è una condizione che causa disagio e peggioramento della qualità della vita

 

Alcune DC appaiono associate al disturbo bipolare, in modo più debole al disturbo ossessivo compulsivo (DOC). I due sono antitetici: le DC sono egosintoniche, il DOC è egodistonico. Cioè, con le prime il soggetto convive bene (almeno in una prima fase) e questo lo porta a non chiedere aiuto; con le altre invece sta male. 

 

Terapia

Sono presenti comportamenti di controllo alimentare, con enfasi sia sulla distorsione della dieta che sull’utilizzo di integratori. C’è anche una certa comorbilità con i disturbi alimentari, tipicamente anoressia, bulimia e ortoressia (4).

 

Perciò bisogna capire se la dipendenza da sport è secondaria al disturbo alimentare. In questo va curato primariamente il dca, perché altrimenti il rischio è che la diminuzione dell’esercizio sposti il coping verso il dca (allo stesso modo, nella cura di un dca bisogna far attenzione che non si sposti il disturbo verso lo sport).

 

Il trattamento è primariamente psicologico, con un intervento volto a identificare e correggere i pensieri automatici legati al bisogno di controllo del corpo e all’idea che l’attività fisica abbia effetti benefici a prescindere dalla modalità in cui è svolta.

 

L’obiettivo non deve essere l’interruzione assoluta del comportamento. Lo sport fa bene e va raccomandato. Può piuttosto tornare utile deviare verso un’altra forma di sport rispetto a quello abitualmente praticato. Dopo aver fatto comprendere al paziente la differenza tra sport praticato in maniera salutare e addiction, è importante che questi riconosca anche la propria condizione di dipendenza.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Glasser W, Positive addiction, New York, NY: Harper & Row, 1976.
  2. Morgan WP, Negative addiction in runners, The Physician and Sports Medicine, 7, 57–70, 1979.
  3. Zeigler-Hill V et al, Narcissism and Exercise Addiction: the mediating roles of exercise-related motives, Int J Environ Res Public Health, 16;18(8):4243, 2021.
  4. Strahler J et al,  Alike and different: Associations between orthorexic eating behaviors and exercise addiction, Int J Eat Disord, 2021. 

 

 

 

 

 

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