– Che fai?
– Niente, mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice.
– Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
– Mi pende? A me? Il naso?
Così Pirandello inizia “Uno, Nessuno e Centomila” nel 1925. È un dialogo tra moglie e marito, in cui lei esprime un giudizio inaspettato sul naso di lui. Da lì l’uomo precipita in un abisso dispercettivo che gli fa apparire irregolare ogni angolo del suo corpo: sopracciglia, orecchie, mani, gambe. Così capisce che la percezione che ognuno di noi ha di sé è diversa da quella che di noi hanno gli altri. Inizia quindi a perdere lucidità e ad avere dei processi di ambivalenza che lo porteranno ad una crisi di identità (“Quindi gli altri sanno di me cose che io non so?”, “Chi sono io?”).
È incredibile come, senza saperlo, Pirandello sia riuscito a fotografare uno dei tratti più identitari dei disturbi alimentari.
La dispercezione è la vera caratteristica comune a tutti i disturbi dell’alimentazione. È ciò su cui si fa diagnosi, la prima a comparire e l’ultima a lasciare il soggetto. Prima di valutare il peso, infatti, bisognerebbe sempre indagare sull’esordio del pensiero. Quello è il vero inizio della malattia. Il dimagrimento, l’amenorrea e tutto il resto possono insorgere dopo. Anzi, a volte la dispercezione, e il conseguente DCA, "scattano" proprio in seguito all'osservazione di qualcuno sul nostro aspetto corporeo.
Dispercezione è il classico caso della ragazza anoressica che si guarda allo specchio e non riesce a vedersi tale. Spesso però si commettono due errori.
Il primo errore è quello di pensare che chi soffre di dispercezione si veda “grasso”. Non è così, o per lo meno non è sempre così. Spesso può anche significare non riuscire a vedere la propria magrezza, cioè ci si continua a vedere normopeso nonostante gli altri cerchino di far notare il grave deperimento. È come un’allucinazione che non lascia vedere la realtà oggettiva, ci si ritrova in un corpo che non si riconosce più.
Il secondo errore è utilizzare il termine dismorfofobia in sostituzione di dispercezione. Errore che spesso commettono anche gli addetti ai lavori. Non è tecnicamente corretto. La fobia è una crisi di angoscia scatenata da un oggetto (ad esempio un ago), da un animale (ragni, topi, blatte, serpenti) o da una circostanza (trovarsi in aereo, in ascensore o in mezzo al mare). E la difesa consiste nell'evitare quella situazione.
Nel campo dei disturbi alimentari invece non c’è una vera fobia ma piuttosto un'ossessione centrata sull’aspetto del corpo. Un’ossessione che porta a poco a poco a disgregare il proprio Io.
Il vero lavoro terapeutico, perciò, non deve essere centrato sulla dieta ma deve mirare alla ristrutturazione dell’Io, al recupero di una nuova percezione di sé. Ecco perché è fondamentale il sostegno psicologico. Il supporto nutrizionale serve pure perché finché c’è un Bmi troppo basso non c’è lucidità mentale e ciò rischierebbe di non far funzionare la terapia psicologica, ma il lavoro principale rimane quello sulla psiche.
In “Uno, Nessuno e Centomila” il protagonista capisce che cambiando la prospettiva e il tempo di osservazione, non cambia solo la percezione della realtà ma la realtà stessa. Quindi non esiste una realtà assoluta, ma più realtà che tra l’altro cambiano di volta in volta. Esiste una realtà percepita e una realtà oggettiva. Questo bisogna far capire a chi soffre di disturbi alimentari: per noi siamo Uno, ma per gli altri siamo Centomila persone diverse. Comprendere questo aiuta piano piano a dissolvere il pensiero dispercettivo e avvia verso la guarigione.
BIBLIOGRAFIA
- Mondraty N. In International Conference on Eating Disorders (Academy for Eating Disorders), Baltimore, MD, 2007.
- Recalcati M. Anoressie e bulimie, Il mulino, 2014.
- Metral M, Mailliez M. How certainty appraisal might improve both body dissatisfaction and body overestimation in anorexia nervosa: a case report. J Eat Disord. 2018 Oct 5;6:29.
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