Cutting
Forse avrete notato che durante il periodo covid sono aumentati i casi di autolesionismo e a volte purtroppo anche suicidio nei bambini. Per rendervene conto, fatevi un giro in rete con le parole covid e autolesionismo. Non mi sto riferendo a Paesi esteri, ma all'Italia: troverete testimonianze di tanti medici che riferiscono di aumenti esponenziali nei numeri dei ricoveri. Qualcuno ha ipotizzato delle sfide sui social. Vi spiego cosa sta succedendo.
In gergo si chiama cutting ed è un comportamento molto frequente nei disturbi alimentari. Qui appare in forma slegata dai dca e può presentarsi anche da molto piccoli. Cioè, i bambini (ma anche i ragazzi più grandi) hanno preso a farsi del male, a ferirsi, a tagliarsi volontariamente, a provocarsi bruciature. In qualche caso qualcuno ha perso la vita.
Durante l’infanzia e l’adolescenza il cervello si sta ancora sviluppando e alcune delle ultime strutture che si formano sono quelle che ci aiutano a risolvere i problemi, quelle che ci rendono in grado di pensare alle soluzioni quando ci troviamo di fronte a un dilemma. Quando lungo il percorso di frappone un ostacolo, possono insorgere impedimenti allo sviluppo.
L’ostacolo in questo caso si chiama negazione della scuola, del gioco, dello sport e della socializzazione. Venendo meno questi elementi durante il covid, ne sono emersi altri (negativi) di compenso.
Ragazzi che hanno perso la voglia di uscire dalla propria stanza, che restano in pigiama tutto il giorno, che hanno paura di dare la mano agli altri, limitati nelle uscite, nelle frequentazioni, con l’ansia che monta e amplifica le preoccupazioni. Si arriva a percepirsi inadeguati, brutti, cattivi. E ci si punisce: «Se provo dolore, penso che me lo merito. Le ferite di solito fanno male anche dopo alcuni giorni e mi ricordano quello che ho fatto. Sentirmi in contatto con il dolore ore o giorni dopo il processo mi ricorda perennemente che ho “pagato i miei debiti”».
Spesso si tratta di ragazzi considerati molto dotati, molto diligenti, molto sotto controllo. All’improvviso, l’implosione.
È un modo per gestire emozioni negative. C'è chi si sfoga sul cibo e che trova altre vie.
Alla base c'è un’incapacità di esprimere ciò che si prova all'interno e allora si utilizza il dolore fisico come compenso al dolore emotivo. Solitudine, rabbia, tristezza, rifiuto, disperazione. E se in famiglia c’è una mancanza di equilibrio (liti, separazioni, alcolismo, abusi), la situazione rischia di precipitare ulteriormente.
HURT
A quel punto può succedere che, venendo meno il controllo della propria vita, si cerchino altre vie di compenso al dolore che emerge. Anzi, che NON emerge, resta intrappolato dentro. E per quanto possa sembrare assurdo, uno dei modi per non implodere è quello di farsi del male. Provocarsi ferite per far fuoriuscire il male interiore, per alleviare il malessere.
C’è un’incapacità di esprimere ciò che si prova all'interno. Il dolore fisico come compenso al dolore emotivo.
Alcuni strappano i propri capelli (tricotillomania) e anche quella rientra nel novero degli atti autolesionistici. La cantante Arisa ne soffre.
Come dicevo, il cutting è particolarmente diffuso nelle persone che soffrono di disturbi alimentari. Come per l'anoressia, si ricerca una forma di controllo; questa volta si controlla il dolore: decido io quanto dolore farmi, quando farlo e quando fermarmi.
In un modo che può sembrare ancora più assurdo, una volta che si inizia a farsi del male, si può instaurare rapidamente una dipendenza (non deve sorprendere più di tanto, perché molti soggetti anoressici/bulimici sviluppano dipendenza anche per il vomito).
Questo succede perché per aiutarci a proteggerci dal sentire dolore i nostri corpi producono sostanze chimiche (oppioidi) simili ai farmaci antidolorifici come la morfina, che una volta in circolo provocano sensazioni di euforia e tranquillità, che aiutano a mascherare il dolore. Questa sensazione può fornire un senso di calma e distrarre dalle emozioni negative, aumentando così la probabilità che il soggetto possa ripetere il comportamento. Così si innesca la dipendenza.
Tuttavia, quando gli episodi di cutting aumentano, gli effetti “calmanti” degli oppiodi diminuiscono e il dolore inizia a sentirsi: è con l'inizio del dolore che molti si trovano faccia a faccia con la loro dipendenza da autolesionismo.
Grossa responsabilità sembra avere la serotonina: se i livelli sono normali, l'irritabilità può essere espressa urlando o sfogandosi in maniera plateale; se i livelli sono bassi, l'aggressività tende a sfociare in autolesionismo o suicidio. Perciò i farmaci precursori della serotonina o che bloccano il suo recupero (rendendola così più disponibile per il cervello) sembrano avere un effetto sul comportamento autolesionista.
Il suicidio è diverso. Anzi, l’autolesionismo è spesso un mezzo di prevenzione del suicidio. Chi si ferisce non è nemmeno in cerca di attenzione, tant’è vero che i tagli tendono a essere praticati in zone non facilmente visibili (caviglie, parte superiore delle braccia, interno coscia) perché la maggior parte delle persone è cosciente di ciò che fa e prova colpa e vergogna. Chi tenta veramente il suicidio cerca di porre fine a tutti i sentimenti, chi invece si ferisce cerca di sentirsi meglio. È una differenza sostanziale. In ogni caso, sebbene il cutter non sia suicida nelle intenzioni, l’autolesionismo può nel tempo condurre all'ideazione suicidaria.
I bambini che ultimamente hanno perso la vita non hanno di sicuro tentato il suicidio ma sono probabilmente rimasti vittime di qualche gioco/pratica autolesionistica.
COME FORNIRE AIUTO
Intanto non è facile né accorgersene né che il ragazzo chieda aiuto. Una volta scoperto, è fondamentale non indurre vergogna perché, come detto, la vergogna è già presente e si rischierebbe di amplificare il comportamento.
Bisogna piuttosto aiutarlo a individuare ciò che trova lenitivo e a sviluppare opzioni per affrontare le crisi. Chiedere “Cosa avresti potuto fare invece?” e cercare insieme attività di compenso.
Alcune idee per le attività di riduzione della tensione:
- colpire un sacco da boxe
- strappare carta (elenchi telefonici)
- strappare una vecchia camicia o una calza
- usare un cuscino per colpire un muro
- lanciare palloncini d'acqua contro un muro o dei sassi a mare
- piangere
- urlare
- fare esercizio fisico
- spremere del ghiaccio con le mani
- mordere qualcosa di molto aromatizzato (peperoncino,
limone/lime/pompelmo, radice di zenzero)
- strofinare qualcosa di simile al VapoRub sotto al naso
10 CONSIGLI PER ESSERE D’AIUTO
1. Fornire distrazioni. A volte solo essere distratti può aiutare. Essere portati al cinema, a passeggio, a fare attività fisica, fuori per un gelato, parlare di altro con qualcuno. Soprattutto essere portati fuori da casa, all'aperto. Tutte attività che durante il lockdown sono più o meno mancate, ecco perché i casi sono aumentati. Attenzione però, devono essere attività che non includano un giudizio o un’autovalutazione delle proprie capacità, altrimenti si rischia di sortire l’effetto opposto; per esempio correre può andare bene, esercitarsi a suonare uno strumento musicale va meno bene.
2. Mostrarsi interessati. Dire a un amico “Vieni a dormire a casa mia stasera?” può farlo sentire meglio. Anche se l'offerta viene rifiutata, il solo fatto di sapere che c’è qualcuno che tiene a noi può esserci di conforto. Di nuovo, attività che con il covid sono mancate.
3. Non forzate le cose, se fate delle aperture e queste vengono rifiutate, tornate indietro per alcuni giorni o settimane; alcune persone hanno bisogno di tempo per decidere di fidarsi di qualcun altro, in particolare se hanno già ricevuto molti feedback negativi.
4. MAI DARE ULTIMATUM! Frasi del tipo “Smetti o ti lascio”, “Smetti o ti punisco” sortiscono l’effetto contrario a quello sperato. A volte il comportamento viene soppresso per un po’, ma alla lunga tende a riaffiorare e spesso in maniera più distruttiva e intensa di prima. Meglio “Tengo molto a te e mi fa troppo male vederti così”.
5. Non utilizzare atteggiamenti di confisca degli oggetti pericolosi o di punizione; anzi incattiviscono e alimentano solo il ciclo.
6. Non chiedere “C'è qualcosa che posso fare?”. Individuate quello che potete fare e chiedete “Posso?”. Le persone che stanno davvero male spesso non riescono a pensare a nulla che possa farle stare meglio.
7. Gli atti spontanei di gentilezza (“Ho visto questo oggetto nel negozio e sapevo che ti sarebbe piaciuto averlo”) fanno miracoli.
8. Siate pronti a sentirvi rispondere male. Non risentitevi e non mettetevi sulla difensiva, altrimenti l'intero processo si impantanerà. La chiave è sviluppare fiducia, un processo che richiede tempo.
9. Tante persone sono sollevate nel sapere che esistono anche altre persone con il loro stesso problema. Come si dice, “Aver compagno al duol…”, per cui può essere utile portarli a conoscenza di altri casi simili (possibilmente risolti); in rete ci sono tantissime testimonianze.
10. Concentrarsi su aspetti positivi, come prendersi cura di un animale domestico, può aiutare il soggetto a vedersi come una persona buona, o almeno non irrimediabilmente cattiva.
Per tutti questi motivi è determinante avere un solido sistema di supporto emotivo di amici/familiari su cui poter contare nei momenti di debolezza.
Non sono tecniche pensate per essere soluzioni a lungo termine; sono strumenti per rendere sopportabile il momento presente, per sentirsi un po’ meglio, anche solo per un po’. Non hanno lo scopo di curare le radici dell’autolesionismo. Servono piuttosto ad aiutare a superare un intenso momento di disagio senza peggiorare le cose a lungo termine. È un tentativo di interrompere un ciclo negativo con qualcosa di positivo, in attesa di andare da uno specialista. Serve a superare una crisi senza farsi del male, a interrompere il ciclo. Ma bisogna forzarsi a farlo, non viene da solo.
Non sei malato, solo non hai imparato modi positivi per gestire i tuoi sentimenti. Non sei sbagliato, solo da qualche parte lungo la crescita non hai imparato o non ti hanno insegnato buoni modi per affrontare le emozioni. Fatti aiutare a trovare quelli e il dolore piano piano svanirà.
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