QUANDO ERAVAMO RE

 


Indietro. Andate indietro. Molto più indietro. Andate a quella che riuscite a pensare come l’origine dell’uomo. Ecco, dovreste stare immaginando un branco di esseri semi-scimmieschi, indistinguibili l’uno dall’altro, ciondoloni tra gli alberi delle foreste africane. E così è stato per milioni di anni, fino all'avvento dell'era agricola (circa 10.000 anni fa). Prima di allora, gli uomini erano tutti ugualmente ricchi e tutti trascorrevano le giornate nello stesso modo. Non c’era un capo, le abitazioni erano tutte simili per forma e dimensioni e le risorse alimentari erano equamente ripartite nel gruppo. Lo stesso comportamento che si osserva tutt’oggi nelle tribù ancestrali ancora esistenti. 


Ad esempio, i !Kung del Sudafrica mai consumerebbero la cacciagione senza dividerla fra loro: “Sono i leoni a fare così – dicono – non gli uomini”. Quando qualcuno uccide una preda di grossa taglia, ha l’obbligo di dividerla con gli altri. Non solo, ha anche l’obbligo di ridimensionare le proprie gesta. A questo provvedono anche gli altri della tribù, che quando vanno a recuperare l’animale fanno finta di essere delusi: “Ma come, ci hai fatto fatto fare tutta ‘sta camminata per questo sacco d’ossa?”. 

 

Ciò serve a mantenere uno stato di parità sociale tra tutti i membri, così da garantire l’armonia e cibo per tutti. In questo modo il popolo intesse una rete di obblighi reciproci con cui scongiura la fame, che potrebbe scatenare guerre tra accampamenti (1). Come spiegano i !Kung stessi: “Quando un giovane uccide un bel pezzo di carne, magari si convince di essere un capo e un grand’uomo, e ci considera come i suoi servi o suoi inferiori. Per noi è inaccettabile. Così parliamo della sua carne come se non valesse niente. In questo modo raffreddiamo i suoi spiriti e lo rendiamo gentile” (2).


A rafforzare ulteriormente questo concetto, tra i !Kung vige la tradizione che la preda appartenga al proprietario della freccia che l’ha uccisa, e non al cacciatore; e poiché i !Kung sono soliti scambiarsi le frecce, l’autocelebrazione è scongiurata. Ancora, quando un boscimane dovesse riuscire a catturare molte prede, smette di cacciare per qualche settimana, lasciando la possibilità agli altri cacciatori di procurargli il cibo. Se la caccia sarà stata fruttuosa si organizzerà una festa sotto gli alberi, cui parteciperanno tutti i membri della tribù mangiando ogni parte degli animali catturati. Niente delle prede verrà buttato via, così come niente della Natura verrà sprecato: un cacciatore non ammazza più del necessario, neppure se si trova di fronte a un intero branco di animali, allo stesso modo in cui le donne non raccolgono mai le piante fino al loro esaurimento, per non compromettere il futuro raccolto.


Richard Borshay Lee, un antropologo canadese che negli anni Sessanta visse con un gruppo di !Kung poté sperimentare direttamente queste loro usanze (3). Un giorno organizzò un banchetto a base di carne per ringraziare la tribù per l’ospitalità, ma restò meravigliato quando i boscimani presero a sbeffeggiarlo per aver catturato una preda scarsa: “troppo vecchia, troppo magra e troppo dura da mangiare”. In realtà era l’esatto contrario, la carne era tenerissima e saporita. Più tardi, Lee capì che “i !Kung sono un popolo di egualitari accaniti e non tollerano molto l’arroganza, l’avarizia e il sussiego tra la loro gente. Quando notano segni di comportamento simili tra i loro compagni, mettono in atto una serie di strategie che incoraggiano l’umiltà, così da riportare l’interessato nei ranghi”.

 

L’uomo, però, per natura tende ad un’organizzazione di tipo gerarchico (come d’altronde fanno le scimmie e altri animali). E la molla perché le cose cambiassero fu l’avvento dell’agricoltura e la produzione di un’eccedenza di cibo da una certa parte della popolazione (4). Quel surplus alimentare fece sì che si materializzassero le prime demarcazioni sociali. Alcune abitazioni cominciarono ad essere più grandi e più lussuose di altre, così come alcuni iniziarono ad essere più ricchi di altri. Si impose la figura di un capo, che proprio grazie a quell’eccedenza di cibo riuscì ad adunare attorno a sé una prima cerchia di adepti, per sottomettere i quali non fu costretto a usare la forza, ma semplicemente il cibo.

 

Il cibo fu dunque il primo strumento per la concentrazione del potere. Ciò è testimoniato dalla “Lista delle professioni”, un documento inciso su tavolette d’argilla, risalente al 3200 aC in Mesopotamia. Questa lista elenca 129 professioni, in ordine decrescente per importanza, tra cui: giudice supremo, sindaco, saggio, uomo di corte, responsabile dei messaggeri, birraio, incantatore di serpenti. Fino ad allora ogni essere umano era uguale all’altro. 


Sicuramente presto qualcuno dovette iniziare a soffrire l’autorità di quel capo. Magari provò anche a ribellarsi, ma più probabilmente finì per accettare la prevaricazione in cambio dei benefici che riceveva in cambio. Inoltre dopo aver faticato tanto per avere una casa e un posto dove vivere, è difficile andar via, anche se il capo inizia a dare i numeri, a vantarsi di discendere dagli dei, a riempirti di tasse, a mettersi i rialzi nelle scarpe, a volere attorno a sé donne vestite da infermiere… 


È la stessa ragione che oggi ci impedisce di scappare da un inferno come l’Italia e un purgatorio come la Calabria. 


 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1. Harris M, Good to eat: riddles of food and culture, Illinois, Waveland Press, 1998.

2. Standage T, An edible history of humanity, Walker & Co, New York, 2009.

3. Lee BL, The !Kung San: men, women and work in a foraging society, Cambridge and New York, Cambridge University Press, 1979.

4. Morgan LH, La società antica, Feltrinelli, Milano 1970 (ed. orig. 1877).

 

 

 

 

 


 

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