Homo Edens

 

 Dall'Eden miocenico all'Inferno paleolitico

 

 

Si parla solo di dieta paleolitica, come se l'uomo non avesse un passato ancora più remoto. C’è tutto un evo precedente al Paleolitico, chiamato Miocene, in cui l’uomo non era ancora tale ma pronto a diventarlo distaccandosi dal ramo delle scimmie antropomorfe.

 

È l’era delle foreste. L’Eden originario. E la stanzialità in quell’habitat vincolava l’alimentazione a una continua assunzione di cibo vegetale: zuccheri a indice glicemico sostenuto (frutti maturi e foglie tenere), abbondanti e frequenti nell’arco della giornata. 

 

Da precisare che stanzialità in questo caso non è da intendersi come sedentarietà! La vita di foresta imponeva infatti una costante mobilità arborea e quindi una notevole attività fisica. Tale stile di vita, insieme a quel tipo di dieta, aveva generato un fenotipo altamente sensibile all’insulina perché l’utilizzo del glucosio da parte del muscolo in attività (non di quello a riposo!) non richiede insulina, che perciò riusciva a metabolizzare bene quell’ingresso di zuccheri.

 

L’uomo (o meglio l’antropomorfa sua predecessore) in quella fase era infatti magro come lo sarà nel successivo periodo Paleolitico, pur mangiando in maniera completamente diversa da come in seguito farà. 

 

Quando l’uomo abbandona l’Africa natia, lascia le foreste e si avventura per la savana. Di conseguenza viene a mancargli la continua assunzione di cibo vegetale e l’alimentazione si modifica prendendo nuovi ritmi: pasti rari e abbondanti (carne) con pochi e sporadici zuccheri.

 

Il passaggio al carnivorismo comincia a farci lavorare in neoglucogenesi, cioè a ottenere zuccheri dalle proteine. Ciò comporta che il glucosio inizi a passare nel sangue più lentamente. E quel poco che arriva serve a un organo che comincia in quel periodo a reclamare nutrimento per il proprio funzionamento: il cervello, fondamentale per le attività di caccia (appostamenti, inseguimenti, competizione con gli altri predatori).

 

Il cervello richiede glucosio ma è insulino-indipendente, per cui l’insulina diventa meno attiva nel rimuoverlo dal sangue. In questo modo si è venuto a settare un fenotipo insulino-resistente, che oggi paga lo scotto dell’arrivo massiccio dei carboidrati.

 

Una scelta vincente dal punto di vista evolutivo, dunque, ma assolutamente svantaggiosa da quello metabolico. Questo ha consentito il fiorire di tutte le attività collegate al pensiero, prima fra tutte l'arte (ne sono riprova le centinaia di statuette di Veneri paleolitiche ritrovate), ma allo stesso tempo ha gettato le basi per le attuali patologie. Volendo esagerare si potrebbe dire che è stato il cervello a condannarci all’insulino-resistenza e alla Sindrome metabolica.

 

Questa potrebbe essere anche una delle spiegazioni al fatto che l’eccesso di fruttosio è noto per poter indurre insulino-resistenza: il fruttosio non richiede insulina per essere metabolizzato. 

Oggi siamo tornati non solo stanziali ma anche sedentari. E si ripresenta il problema della continua assunzione di cibo tipico della stanzialità. Solo che questo cibo non proviene dalla foresta ma dal supermercato, e in quanto tale non è di un solo tipo ma di una gamma praticamente sconfinata.

 

Troppi grassi, troppi carboidrati, troppi zuccheri. Troppa quantità, troppo spesso nella giornata, con un intervallo tra i pasti spesso cortissimo. Una sorta di costante stato post-prandiale, un’"infiammazione nutrizionale" con relativo stress ossidativo e conseguente risposta infiammatoria (soprattutto da parte di interleuchina-6 e TNF-alfa). 

 

Dall'Eden miocenico all'Inferno paleolitico al Purgatorio dei supermarket.

 

La conseguenza di tutto ciò è un processo degenerativo a carico dell’endotelio dei vasi e quindi un maggior rischio di aterosclerosi. Ecco perché la misura della glicemia post-prandiale nei diabetici è più importante della glicemia a digiuno. Attraverso il contenimento dei livelli glicemici post-prandiali è possibile la regressione del processo aterosclerotico.

 

Nella disillusione dell’Homo Edens di tornare alla natura per ritrovare il Paradiso alimentare perduto, l'unica soluzione attualmente proponibile è la più banale ed elusa da tutti: un minore carico di calorie e più lavoro muscolare. 

 

 

 

 

 

 

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