Dr. Giuseppe Musolino
musolino.press@email.it
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C’è chi mangia insetti o ragni, chi mangia cani e gatti, chi non mangia mucca o maiale e chi mangia… il mondo!
“La terra non appartiene all’uomo,
è l’uomo che appartiene alla terra.”
(Capo indiano Sioux)
Terra!
Gli animali hanno la capacità di avvertire una determinata carenza nutrizionale e si lasciano guidare dal proprio istinto per sopperirvi. Ad esempio, nel loro periodo fertile, le galline mangiano sassolini o la calce dei muri (fonti di sali di calcio) per facilitare la formazione dei gusci delle proprie uova. L’uomo moderno ha perso tale capacità e oggi è guidato quasi esclusivamente dal gusto o dall’abitudine, piuttosto che da reali esigenze alimentari. Alcuni popoli, però, hanno mantenuto un certo istinto e allora - ancora oggi - mettono in atto pratiche alimentari che ai nostri occhi appaiono come folli o quantomeno riprovevoli.
La geofagia (dal greco: gé = terra e phageìn = cibarsi) si manifesta nel consumo di terra, suolo o argilla (1). Da un punto di vista psichiatrico, è stata classificata come una forma di “Pica” (2), un termine latino che significa “gazza”, l’uccello con la ben nota abitudine di ingoiare tutto ciò che trovi. La Pica è cioè una tendenza compulsiva a mangiare materiali non commestibili. Le sostanze ingerite sono le più varie: chiodi, monete, bottoni, sabbia, terra (di solito l’attrazione è esercitata verso un’unica sostanza). È un istinto spesso osservato nei bambini. Fortunatamente, il disturbo, che colpisce in percentuale simile i due sessi, è raro e tende alla remissione nella prima adolescenza - anche se talvolta può persistere fino all’età adulta.
Terroni
La geofagia è un’usanza ancestrale, ma ancora oggi in diversi paesi, soprattutto in quelli con clima molto caldo, alcune comunità continuano a mangiare la terra (3). Nel vero senso del termine, tanto che si parla di earth eaters. In Africa centrale, dove la geofagia ha indubbiamente una forte valenza culturale (4), la pratica è comune fra i bambini (5), nei quali non viene affatto biasimata, tanto che l’abitudine talvolta continua a persistere anche nell’adolescenza e in età adulta.
Le giovani donne in Sud Africa credono che mangiare terra ammorbidisca e dia alla loro pelle un miglior colore, rendendole più attraenti (6).
Sempre in Africa, la geofagia appare utile anche ad integrare le richieste di elementi necessari al metabolismo umano non soddisfatte da una dieta troppo povera. E qui riaffiora quell’istinto sopito di avvertire determinate necessità nutrizionali di cui si accennava all’inizio. Le donne africane incinte inseriscono l’argilla nella loro dieta proprio a questo scopo. Talvolta l’argilla viene acquistata nei mercati, ma spesso, nelle zone più povere o remote, viene ingerito direttamente del suolo prelevato dal fondo stradale, dall’alveo di fiumi in secca o dalle pareti delle capanne di fango.
Sottoterra
La geofagia è stata considerata da diversi punti di vista: una malattia psichiatrica, un’usanza culturale, una pratica conseguente alla povertà e alla fame. Ed effettivamente, nelle zone più povere, la terra viene realmente utilizzata per cercare di sopprimere l’appetito, come “riempitivo” (1).
Ma la geofagia è stata spesso osservata anche in assenza di fame (7): infatti, è stata documentata anche nell’anoressia nervosa (8), nel corso di gravidanze (9) o in contesti di anemie ferro-prive (10). E forse non è un caso che i soggetti anoressici colpiti da geofagia mostrino anemia sideropenica (8).
La patologia rimane spesso misconosciuta dai medici perché i pazienti sono riluttanti a raccontare volontariamente la propria storia: affiora comunemente quando l’abitudine è scoperta in modo accidentale (11).
Oltre all’anemia (12), le complicanze legate alla geofagia comprendono: blocco intestinale (13), infezioni parassitarie (14), disturbi elettrolitici (15). Perforazione del colon e peritonite sono sporadiche, ma la mortalità associata è molto elevata (16, 17, 18).
Retroterra
La geofagia affonda le sue radici nell’antichità più remota. Riferimenti a riguardo si ritrovano già negli scritti in Sumeria, Egitto e Cina; ed è probabile che la geofagia fosse popolare già tra i popoli preistorici (19).
Nonostante la limitata conoscenza dell’anatomia e della fisiologia, diversi libri medici greci e romani rivelano sorprendenti descrizioni dei disturbi medici e diagnostici relativi alla geofagia.
Ippocrate (460-377 aC), il medico greco ritenuto ancora oggi il padre fondatore della moderna medicina, è stato molto probabilmente il primo a fornire una descrizione ufficiale di geofagia: “Se una donna incinta sente il desiderio di mangiare terra o carbone e poi li mangia, il bambino mostrerà segni di ciò” (20). Per secoli, il libro di Ippocrate è stata una pietra miliare della pratica medica, per cui si può ragionevolmente supporre che i medici greci e romani siano stati molto familiari con la geofagia.
Subito dopo Ippocrate, anche Aristotele (300 aC) (21), Cornelio Celso (30 dC) (22) e Plinio (23-79 dC) (23) citarono la geofagia nei loro studi. Celso in particolare fu uno dei primi a puntare a un collegamento tra geofagia e anemia: “Le persone con un brutto colorito, quando non colpiti da itterizia, soffrono di dolori alla testa o sono mangiatori di terra”. Tutt’oggi, però, non è ancora chiaro se sia l’anemia a portare alla geofagia (per compensare la carenza di ferro) o se la causa dell’anemia sia proprio la geofagia (24).
Ad ogni modo, queste relazioni suggeriscono come la geofagia non sia stata rara in tempi antichi.
Madre Terra
La terra cela uno stretto legame con la donna, un legame indissolubile. La terra è donna. La terra madre. La terra che sgrava i suoi dolori. La terra che riprende i suoi figli.
Aetius, un medico dell’imperatore Giustiniano di Costantinopoli, durante il 6° secolo dC compilò un libro di testo ostetrico, nel quale recita: “All’incirca nel corso del secondo mese di gravidanza, compare un disordine che è stato chiamato Pica, un nome derivato da una specie di uccelli, la gazza... in seguito al quale le donne desiderano diversi oggetti... alcune preferiscono cose piccanti, altre piatti salati ed altre ancora terra, gusci d’uovo o ceneri” (25).
Nell’Europa Medievale, sia ginecologia che ostetricia furono quasi esclusivamente di pertinenza delle ostetriche, e pochi documenti sono sopravvissuti. Un’eccezione è il testo del persiano Sina (980-1037 dC), anche noto come Avicenna, nel quale si trova una dettagliata menzione della geofagia, per la cura della quale, nei giovani ragazzi, il simpatico Avicenna raccomandava… l’imprigionamento (26), mentre un trattamento più “dolce” era permesso in gravidanza (27).
Altra rara testimonianza medievale è il testo di Trotula di Salerno, un’ostetrica dell’11° secolo che affrontò la geofagia come un comune ma curabile problema: “Se lei dovesse cercare di mangiare terra, gesso o carbone, le si potrebbero somministrare dei fagioli cotti con lo zucchero” (28).
Tra il 16° ed il 17° secolo, la geofagia fu spesso osservata come un sintomo di un’altra malattia molto diffusa nell’Europa del 1500, la clorosi - la “malattia verde”, nota anche come febris alba, che colpiva principalmente ragazze in pubertà (29, 30). L’esatta natura della clorosi, così come quella della geofagia, resta controversa, ma l’anemia rimane una peculiarità saliente, quasi a voler ribadire un legame di “ferro” tra la terra e la donna.
Hamburger hill
Una sorprendente relazione sulla geofagia si ebbe in seguito alla carestia del 17° secolo, da un sovrintendente di Coswig (Sassonia), esattamente nel 1617: “La gente ha iniziato la cottura di questa terra e [...] la collina bianca contenente tale terra ha già ucciso cinque di loro” (31).
Ulteriori informazioni provengono da tesi di laurea in medicina dell’epoca (32, 33, 34, 35). Tra le relazioni delle varie forme di Pica, queste tesi descrivono una notevole gamma di geofagia. Molti di questi Autori, ancora una volta, osservarono la geofagia durante la gravidanza. Nella sua tesi dottorale del 1691 (fig. 1), Christian fornì una notevole descrizione delle varie forme di pica, descrivendo emblematicamente la geofagia: “Una ragazza ha mangiato terra e cose simili, come fosse stato pane” (36).
Fig. 1 Copertina di una tesi dottorale del 1691 sulla Pica.
La geofagia rimase comune in Europa durante tutto il 18° e il 19° secolo. Von Humboldt, sul finire del ‘700, durante la sua discesa dell’Orinoco,
ebbe modo di osservare abitudini geofagiche nei nativi del Sud America: “Questa zona è popolata dagli Otomacs, una tribù dimenticata che mostra comportamenti caratteristici:
essi mangiano la terra, che divorano in quantità considerevoli” (37). Von Humboldt descrisse la geofagia in modo molto dettagliato, sostenendo che la fame potrebbe in parte spiegare questo
comportamento. In particolare, egli osservò che la terra essiccata veniva raccolta in cumuli per poi essere utilizzata come riserva durante i periodi di carestia. Notò tuttavia che, per quanto
diffusa, essa non sembrava portare grandi benefici; anzi, particolari situazioni di malessere fisico apparentemente erano da associarsi proprio all’ingestione continuata di terra.
Servi della gleba
Più tardi, in Africa, Livingstone descrisse la "safura", una malattia dei mangiatori di terra tipica tra gli schiavi a Zanzibar. L’esito fu riferito sempre come fatale e, dopo aver osservato che anche le persone ricche venivano colpite, Livingstone confutò la povertà come possibile spiegazione (38). La malattia fu spesso vista come una questione di grande preoccupazione tra i proprietari delle piantagioni, nelle quali gli schiavi colpiti da geofagia divenivano progressivamente sempre più letargici e debilitati, fino a quando morivano. La terra riprendeva i suoi figli. Consci di questo pericolo, nel sud America, i proprietari delle piantagioni fecero indossare agli schiavi delle maschere per impedire loro di mangiare la terra (fig. 2) (39, 40).
Fig. 2 Maschere-serratura fatte indossare a schiavi in Brasile per impedire loro episodi di geofagia.
Simili relazioni coloniali mediche sono discusse in dettaglio anche altrove (41). Ad esempio, abitudini analoghe si svilupparono anche tra gli schiavi delle regioni meridionali del nord America (dove la geofagia era conosciuta come “cachessia africana”) (42), ma anche in India (43) e in altre zone asiatiche (29).
La terra promessa
Tutti i concetti che trattano della geofagia come un disturbo elettivamente psichiatrico o culturale o conseguente ad un periodo di carestia, non offrono una spiegazione soddisfacente, in quanto il nesso di causalità è certamente multifattoriale. Come osservato, infatti, la geofagia non è confinata ad un particolare ambiente culturale e si manifesta anche in assenza di fame.
Nulla esclude che dietro possa celarsi una sorta di commistione atavica: ossia la geofagia potrebbe essere stato un comportamento adottato da certe popolazioni allorquando minerali e oligoelementi erano scarsi negli alimenti, ed il suo riemergere potrebbe allora essere attivato da eventi quali fame, cambiamenti culturali o particolari stati emotivi. Non a caso, una descrizione significativa si incontra nel romanzo di Gabriel García Màrquez, “Cent’anni di solitudine”, in cui si descrive la geofagia in una giovane donna follemente innamorata: “Rebecca si alzò in piena notte e mangiò manciate di terra nel giardino con un chiaro intento suicida, piangendo con furia e dolore, masticando teneri lombrichi e scheggiando i suoi denti con gusci di lumache” (44).
Il giorno ci sorprenderà a raschiare il fondo. Divoreremo il tuo sangue secco prima che tu inghiotta per sempre il nostro.
BIBLIOGRAFIA
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