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Il mondo in uno specchio.

 

 

Non aver paura della perfezione, non la raggiungerai mai.

                                                                                     Salvador Dalì

 

 

“Non so come sia successo né da quando accada, forse da sempre. Non riesco a fare qualcosa senza ricercarne la perfezione, dal vestirmi al curare la casa, la macchina, i figli, il lavoro, l’alimentazione, il mio corpo. Tutto DEVE essere in ordine, sotto controllo, organizzato, efficiente, migliore. Perfetto. Ma più persevero, più aumenta la mia insoddisfazione. È come un cane che tenta di mordersi la coda. La mia dieta è rigidissima, non sgarro mai. Ma quando succede… non mi fermo più. Basta anche solo che assaggi qualcosa che non mi spetti… e allora mi dico che posso far fuori ogni altra cosa, perché tanto ormai ho ceduto, non ce l’ho fatta, ho peccato. Ho fallito.” (Un'utente qualsiasi su un forum qualsiasi)

 

 

You’re so vain

Il mito di Narciso si offre ad un’analisi introspettiva ideale per il tema che andiamo a trattare. Se si legge tra le righe, il suo sentimento non è animato dal semplice e superficiale desiderio di essere bellissimo, come ci hanno insegnato a scuola. No, si tratta di qualcosa di molto più complesso. Narciso ha paura. È terrorizzato, afflitto dall’angoscia di poter apparire “imperfetto”. E in quello stesso istante si accorge di esserlo, imperfetto. Perché la ricerca di perfezione richiede imperfezione, e l’imperfezione genera insoddisfazione. Perenne. Per questo Narciso soffre e rifiuta a priori un confronto con gli altri. Ha paura di fallire, e in quello stesso istante ha fallito. Non si tratta dunque di una mera questione di vanità, come invece ci è stata sempre frettolosamente proposta; è un problema molto più profondo, che riguarda la ricerca ossessiva di qualcosa che non esiste: la perfezione.

 

 

Perfetto difettoso

Noi siamo convinti che di ogni cosa si possa e si debba trovare il meglio, l’optimum, la perfezione. Ma esiste veramente la perfezione? Fichte diceva: “La perfezione non è essere perfetti, ma tendere continuamente ad essa”. Credo che avesse ragione. È la chiave di lettura della nostra natura nichilista. Noi non dobbiamo invecchiare, non dobbiamo morire. Tendiamo continuamente a progredire verso uno stadio perfetto, senza però raggiungerlo mai; e per legge naturale, ciò che non può progredire, regredisce o muore. Quindi, la perfezione è irraggiungibile. Un costrutto astratto e fallace. La perfezione è difettosa. La perfezione è imperfetta. È uno stato immaginario, verso il quale tutti ci protendiamo più o meno miseramente. È uno dei motivi che mi hanno tirato giù dal palco. È l’illusione che ci ucciderà. Parlare di perfezione equivale a perdersi dietro la ricerca di una definizione della verità. Semplicemente, non esiste. Niente è perfetto; solo esso, il niente.

 

 

Perdifetto

Uno dei sinonimi di perfezione che mi fornisce il mio word è “conclusione”. Significa che io dovrei rapportare il concetto di perfezione al tempo. Ma la perfezione è negazione del tempo. Ed è proprio lì che essa smette di essere, perché noi siamo esseri maledettamente temporali ed evoluzionisti (anche se a guardare alcuni non ci giurerei...). In costante mutamento, come l’ambiente che ci circonda. Quindi, ancor prima di essere perfetta (conclusa), la perfezione è già sorpassata, perciò eternamente imperfetta.

Ma non è tutto, perché dopo averla correlata al tempo, dovrò ancora rapportare la perfezione allo spazio. E allora ecco un’altra falla, perché ciò che io considero perfetto, può non esserlo per un africano, un neozelandese o un asiatico. Ad esempio è noto che il concetto di corpo perfetto che abbiamo noi occidentali è grandemente diverso da quello dei polinesiani, che amano e ritengono sensuale l’abbondanza di adipe.

 

 

Confettiperfetti

Ad ogni modo, tutti protendiamo verso un proprio ideale di perfezione. Ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero, anche subconscio, trasuda ambizioni perfezionistiche. Vogliamo apparire sempre impeccabili, irreprensibili, infallibili, ineccepibili, inappuntabili, alla moda, al corrente. Perfetti, appunto. Ma ognuno a proprio modo. E in questa arbitrarietà, qualcuno deve aver perso la bussola. Lo vedo, sta arrivando.

Infradito rosa, pantaloni rosa, maglietta aderente rosa paillettata, collanina rosa, cappellino rosa. Perfetto, un confetto! Lampadato, palestrato, sbalestrato, sopracciglia scolpite, unghie laccate, salutista ma sigarettasempreaccesa; scorpione sul braccio, souvenir dell’ultimo viaggio a Cuba (e dove sennò?!). È di Catanzaro, ma vive a Milano, perché i calabresi “sono troppo provinciali”. Si chiama Tony Cocco e fa l’imprenditore, o almeno così dice (in realtà, ho saputo da fonti attendibili che si chiama Tanino Coccoglioniti e lavora, come tutti, in un call center). Un tamarro, direste. Neanche per sogno, non vi permettete! No, è stata creata una categoria apposita per lui: è un metrosessuale (ma non diteglielo, perché la scambierebbe per un’offesa destituente il suo solido ideale di maschio perfetto).

 

 

Troppo perfetti

Quando allora ci si può ritenere scivolati nel patologico, piuttosto che in una sana voglia di miglioramento? Secondo Frost, quando si arriva ad acquisire l’abitudine di esigere da sé o dagli altri più di quanto richiesto da un determinato contesto, allora ci si potrà considerare preda del perfezionismo (1).

Talvolta alla base di tutto c’è una caparbia ricerca del successo, intesa anche come approvazione degli altri; altre volte invece la motivazione è insita nel succitato narcisismo, ovvero nel bisogno di evitare fallimenti. Per certi versi tali caratteristiche potrebbero anche essere auspicabili, perché gli sforzi profusi si accompagnano spesso ad un aumento del senso di autostima. Il problema è che queste peculiarità vengono spinte fino al parossismo, tanto da tramutarle in difetti. Il perfezionista infatti non ha il senso del limite: da una parte si considera onnipotente, dall’altra si sente estremamente insicuro perché non riesce a comprendere quanto sforzo profondere per raggiungere il suo obiettivo. E allora, nel dubbio che non stia dando il massimo, infonde sempre maggiore impegno, come nel più classico dei circoli viziosi. La paura di fallire genera ansia, che sviluppa insicurezza, che origina l’errore, che crea frustrazione, che innesca le alterazioni dell’umore,  la depressione, l’intolleranza verso il prossimo, l’alienazione, l’isolamento sociale, la solitudine. Perché gli altri non sono all’altezza, sono inferiori, incapaci, mediocri. Non ci si sforza di né di comprendere né di accettare il resto del mondo. Un delirio egocentrico, in cui l’attitudine è quella di criticare e sminuire l’operato altrui, ma anche il proprio. Tuttavia, tali conseguenze negative vengono solitamente ben tollerate, perché considerate attestazione dei propri sforzi.

 

 

Un mondo in bianco e nero

Quando gli obiettivi sono raggiunti vengono subito sminuiti, e di riflesso viene innalzato il livello dei successivi. In un perenne stato di insoddisfazione, in cui il motivo portante è quello di dovere dimostrare sempre il proprio valore. In questo modo il perfezionista finisce per impegnarsi a fondo in un numero di attività via via sempre minore, finché non raramente queste si riducono ad una soltanto. La libertà viene meno, si diventa schiavi di se stessi. Il pensiero diviene unidimensionale e unidirezionale, perché la perfezione, come la verità, deve per definizione stare inequivocabilmente da un’unica parte, non può stare in due contesti contemporaneamente. Si parla allora di pensiero dicotomico o del “tutto o nulla”. Viene cioè a mancare ogni sfumatura nel modo di pensare e di agire. Tutto è visto in bianco o nero, non esiste una via di mezzo: o così o niente! I risultati conseguiti sono ottimi o disastrosi, la dieta si segue alla lettera o ci si abbuffa ad libitum, si va a correre tutti i giorni o mai, ci si dopa o si abbandona la palestra.

 

 

In nome del Padre

Mi tolgo il camice.

E allora, delle domande sorgono dicotomicamente spontanee. I mancini sono “normali” o “anormali”? Gli integratori sono “naturali” o “innaturali”? Una rinoplastica migliora o “snatura”? E la liposuzione? Un OGM è “alterato” o “migliorato”? E due pere al silicone? E un macrofallo nelle mutande di un microcefalo, come lo vedete: difetto o perfetto? Pare che in America circa il 90% dei feti a cui sia diagnosticata la Sindrome di down venga abortito. Cos’è questa, se non ricerca dicotomica della perfezione? Il normale da una parte, l’anormale dall’altra. Il bello vive, il down muore. È la legge dell’evoluzione. Solo che a decidere non è Dio, ma noi, micragnosi esseri imperfetti. Ovini zelanti, costretti alla terra e ad altri ovini zelanti. In nome dell’uguaglianza, del vivalamore. In nome del Padre.

Mi rimetto il camice.

 

 

La dieta perfetta

La ricerca della perfezione può facilmente intaccare anche la sfera nutrizionale, perché il perfezionista è convinto che la stima degli altri sia condizionata al peso e alla condizione fisica raggiunta (2). La correlazione del perfezionismo con i disturbi del comportamento alimentare è stata sottolineata da un grandissimo numero di Autori (3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17). La paura del fallimento qui si traduce in timore di ingrassare, e per fronteggiare ciò si è disposti a sottostare ai regimi dietetici più improbi, sempre basati su diktat dicotomici: “devo seguire una dieta da 1000 calorie, non una di più”.

Col tempo, però, la dieta ferrea porta inevitabilmente ad un aumento del senso di fame, soprattutto nei confronti dei carboidrati. Sopraggiunge il rebound, che inizia solitamente con piccole trasgressioni. Una volta infrante le regolesubentrano le emozioni negative (senso di colpa, disgusto, paura di ingrassare, fallimento) e con esse un senso di perdita di controllo. Ecco allora riproporsi lo scisma dicotomico, “tutto o niente”: “ho ceduto, ora posso anche far fuori tutto il frigo, tanto ormai lo sgarro è commesso”. Hanno così inizio le abbuffate, per compensare le quali si tenta di rimediare con comportamenti sempre più intransigenti (dieta ancora più ferrea, digiuno, vomito autoindotto, lassativi, diuretici, controllo ossessivo del peso, attività fisica compulsiva). Il risultato finale di ogni ciclo del genere è un progressivo calo dell’autostima e un costante aumento delle preoccupazioni riguardo al peso e al corpo.

 

 

Il mondo perfetto

Insieme a quello della danza (18), il mondo del body building è sicuramente uno di quelli più a rischio (19). Primo, perché si tratta dello sport perfezionistico per eccellenza; secondo, perché il cibo viene interpretato più da un punto di vista funzionale che edonistico (“mangio le proteine”, non “gusto una succulenta fiorentina”); terzo, perché certe estremizzazioni dietetiche (vedi soprattutto gli attuali orientamenti carbofobici) sono potenzialmente prodromiche di future alterazioni del comportamento alimentare.

Mi è capitato di sentire assurdità del tipo “il cibo è solo un bisogno fisiologico, non un piacere”. Lasciate che vi dica una cosa, che dico sempre ai miei pazienti. Col cibo e con l’influenza di questo sul vostro corpo, ci dovete convivere tutto il resto della vostra vita; non ora o fino alla prossima estate: tutta la vita. Perciò, lo scopo primo di un programma dietetico non deve essere quello di far dimagrire, ma quello di poter essere adottato come stile di vita, ovvero mantenuto per sempre. E non è certo il caso della maggior parte dei programmi nutrizionali in voga negli ultimi tempi. Mi spiego meglio.

 

 

Forever young

Quanti anni avete adesso? 20, 25, 30? Bene, provate per un momento a proiettarvi nei prossimi 10, 20, 30, 40 anni e oltre – perché sono tutti lì, parati davanti a voi. Pensate di riuscire a vivere col cibo un rapporto di privazione-sottomissione per tutto il resto della vostra vita? No, non succederà. Sapete invece cosa accadrà? Ve lo racconto ironicamente (i permalosi possono anche smettere qui la lettura; io infatti la smetto qui).

Dopo tanti anni di regimi dietetici intransigenti, non ne potrete più. Com’è giusto che sia. Vi guarderete allo specchio e l’immagine “perfetta” cui eravate abituati sarà cambiata. Passeranno i giorni e quell’immagine si allontanerà sempre di più. E a ripensare a tutte le fatiche che vi ci erano volute negli anni per costruire e mantenere la forma in questione, vi convincerete che quel livello proprio non lo raggiungerete più. Tirerete in ballo le scuse più improbabili: “ho famiglia”, “il lavoro me lo impedisce”, “non ho più vent’anni”, “ero troppo grosso”… E allora, subentrerà la dicotomia: “non posso più essere come ero, tanto vale che mi metta a mangiare liberamente come tutti”. Liberalizzata la dieta e la vita sociale, vi accorgerete di un mondo fino a quel momento sconosciuto, fatto di luci, aria, giochi, risate, cibo. Donne. “Ma chi sono questi? Che ne sanno della vita?”, vi chiederete. Loro non sono come voi. Voi sì che avete fatto dei sacrifici. Voi sì che avete sofferto. Anni e anni in low-carb. Voi siete dei grandi, altroché. Ci provassero loro, mediocri. 

Niente da fare, non funziona. Sarete dei disadattati. Come dei carcerati appena liberati dopo anni di reclusione. Il mondo è andato avanti mentre voi andavate dall’altra parte. E allora cercherete di raggiungerlo. E correrete, correrete più forte di quanto abbiate mai fatto. Più forte del tapis roulant. Ma non ce la farete. Per tentare di stare al passo, l’unica cosa che vi resterà da fare sarà… coprirvi di ridicolo. Vi vestirete di rosa, scolpirete le vostre sopracciglia, inizierete a fumare, a bere e a ballare il latinoamericano. Andrete a Cuba, due volte. Alla seconda metterete incinta un’aborigena, che poi porterete come trofeo in Italia. Perché voi siete dei grandi, mica dei mediocri come i vostri amici. Passeranno tre anni. La tradirete, e anche lei lo farà. Con un palestrato, che dopo aver finito noterà sul comodino la vostra foto ricordo a Cuba e penserà “ecco un altro mediocre”. E intanto vostro figlio, vestito come voi, vi chiederà di poter andare in palestra. E Narciso riderà.

Per fortuna, guardo mio padre e mi ricordo ancora cosa significhi essere un uomo.

 

 

  

 

I nomi utilizzati nel racconto sono di pura fantasia dell’Autore.

Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmente esistiti o esistenti

è da ritenersi assolutamente casuale.

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 1. Frost RO et al, The dimension of perfectionism, Cognit Ther and Res, 14, 449-468, 1990.

 

 2. Hewitt, PL, Flett GL, Perfectionism in the self and social context: conceptualization, assessment, and association with psychopathology, Journal of Personality and Social Psychology, 60, 456-470, 1991.

 

 3. Bastiani AM et al, Perfectionism in anorexia nervosa, International Journal of Eating Disorders, 17 (2), 147-152, 1995.

 

 4. Halmi K et al, Perfectionism in anorexia nervosa: variation by clinical subtype, obsessionality, and pathological eating behavior, American Journal of Psichiatry, 157 (11), 1799-1805, 2000.

 

 5. Strober M, Disorders of self in anorexia nervosa: an organism-developmental paradigm, In: Psychodinamic tratment of anorexia nervosa, 354-373, C. Johnson Ed, New York: Guilford, 1991.

 

 6. Fletcher BC et al, Eating disorders and concurrent psychopathology: a reconceptualisation of clinical need through Rasch analysis, Eur Eat Disord Rev, 2007 (in press).

 

7. Favaro A et al, The relationship between temperament and impulsive behaviors in eating disordered subjects, Eat Disord, 13 (1), 61-70, 2005.

 

 

 8. Bardone-Cone AM et al, Predicting bulimic symptoms: an interactive model of self-efficacy, perfectionism, and perceived weight status, Behav Res Ther, 44 (1), 27-42, 2006.

 

 9. Davis R, Jamieson J, Assessing the functional nature of binge eating in the eating disorders, Eat Behav, 6 (4), 345-54, 2005.

 

10. Forbush K, Heatherton TF, Keel PK, Relationships between perfectionism and specific disordered eating behaviors, Int J Eat Disord, 40 (1), 37-41, 2007.

 

11. Kaye W, Neurobiology of anorexia and bulimia nervosa, Physiol Behav, 2007 (in press).

 

12. Cassin SE, von Ranson KM, Personality and eating disorders: a decade in review, Clin Psychol Rev, 25 (7), 895-916, 2005.

 

13. Striegel-Moore RH et al, Toward an understanding of risk factors for binge-eating disorder in black and white women: a community-based case-control study, Psychol Med, 35 (6), 907-917, 2005.

 

14. Tyrka AR et al, Prospective predictors of the onset of anorexic and bulimic syndromes, Int J Eat Disord, 32 (3), 282-290, 2002.

 

15. Petersson BH, Bulimia nervosa, Ugeskr Laeger, 163 (25), 3465-3468, 2001.

 

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17. Fairburn CG et al, Risk factors for binge eating disorder: a community-based, case-control study, Arch Gen Psychiatry, 55 (5), 425-432, 1998.

 

 

18. Druss RG, Silverman JA, Body image and perfectionism of ballerinas: comparison and contrast with anorexia nervosa, Gen Hosp Psychiatry, 1 (2), 115-121, 1979.

 

19. Mie osservazioni, qualcuno provi a contraddirmi.