Dr. Giuseppe Musolino

       

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Quando il cibo “sano” diventa un'ossessione.

 

 

 

Una volta, proprio poco prima di uscire sul palco per una gara, mi avvicinò una (specie di) giornalista, che, microfono alla mano e cameraman di supporto, con l’aria illuminata di chi pensa di star formulando chissà quale geniale domanda, mi chiese: “Tutti questi muscoli… quest’ossessione del fisico al primo posto… ma non pensate di esagerare? Proteine, vitamine… Ci sono tante altre cose… Non so, un buon libro, per esempio”. In questi casi, soprattutto quando l’intervista è fatta subdolamente “di sorpresa” (come era nella fattispecie), capita spesso di ritrovarsi il microfono in bocca, le luci sparate negli occhi e la telecamera fissa in volto, per cui molte volte non si è pronti a rispondere come - ripensandoci in seguito - si sarebbe voluto, finendo per fare il gioco dell’intervistatore. Per fortuna, invece, quella volta riuscii a rispondere come avrei desiderato. “Chi le ha detto che tutto ciò sia al primo posto nella mia vita?!? Lo è ora, in questo istante, e non vedo perché non dovrebbe essere così, giacché sto mettendo in ballo mesi di sacrifici; ma in altri momenti ci sono altre cose, altri interessi, gli affetti... e comunque, certo, non un buon libro al primo posto!”. Fantastico! A ripensarci ancora adesso, mi vien voglia di chiedermi l’autografo.

Ma perché vi sto raccontando questo episodio? Perché il modo di vedere me (e il nostro mondo) da parte di quella giornalista collima perfettamente con la definizione di un nuovo disturbo dell’alimentazione. Già, perché da un po’ di tempo a questa parte pare che vogliano “inscatolarci” nell’ennesima condizione di patologici emarginati. Un nuovo modo di catalogarci – loro, negletti per antonomasia – come “maniaci dell’alimentazione”. Il paradosso più totale.

Sto parlando dell’ortoressia, l’“ossessione del mangiar sano”.

 

 

Cos’è l’ortoressia

Il termine “ortoressia” deriva dal greco orthos (corretto) e orexis (appetito). È un problema abbastanza recente, tanto che in letteratura si trova ancora molto poco sull’argomento: difatti, non è stata tuttora riconosciuta ufficialmente dal mondo scientifico (1). Il problema è stato portato alla luce da un ex-ortoressico, il medico Steven Bratman (2), che, giunto a riconoscere in molti suoi comportamenti una sorta di dipendenza maniacale (non consumava i propri pasti se non nel silenzio più assoluto; stava ben attento a non alzarsi da tavola sazio; non mangiava una verdura se questa era stata colta da più di quindici minuti; deglutiva il boccone, solo dopo averlo masticato per più di cinquanta volte; viveva nel terrore che il cibo “sbagliato” potesse farlo irrimediabilmente ammalare), arrivò a definire questa nuova forma patologica, proponendo un test (fig. 1) per la sua identificazione.

 

TEST DI BRATMAN


1. Spendi più di 3 ore al giorno pensando alla tua alimentazione?


2. Pianifichi i tuoi pasti diversi giorni prima?


3. Il valore nutritivo dei cibi che assumi è più importante del piacere di mangiarli?


4. La qualità della tua vita è diminuita da quando sei interessato all’alimentazione salutistica?


5. Sei diventato più severo con te stesso nei confronti del tuo comportamento alimentare?


6. La tua autostima aumenta quando ti alimenti in modo corretto?


7. Hai eliminato cibi che amavi in favore di cibi più salutari?


8. Ti riesce difficile mangiare fuori casa, a causa dell'incompatibilità del tuo regime alimentare con quello dei ristoranti, distanziandoti da amici e parenti?


9. Ti senti in colpa quando non mangi in modo salutisticamente corretto?


10. Ti senti in pace con te stesso e in pieno controllo quando mangi in modo salutisticamente corretto?

 

 

 

Fig. 1 Test di Bratman per l’identificazione di uno stato ortoressico: una risposta positiva a 4-5 domande indica che potrebbe essere il caso di rivedere il proprio approccio all’alimentazione; una risposta affermativa a più di 5 domande segnala un’ossessione - crescente - verso il concetto di nutrizione “sana”, con conseguente pericolo di ortoressia.

 

 

Le tre sorelle

L’ortoressia, come l’anoressia e la bulimia, ambisce dunque a rientrare tra i disturbi del comportamento alimentare (DCA). A differenza delle altre due, essa è caratterizzata da una focalizzazione dell'attenzione sulla qualità del cibo, piuttosto che sulla quantità, come avviene (in difetto) per l’anoressia o (in eccesso) per la bulimia. In virtù di ciò, fenomeni alimentari più o meno recenti, quali “mucca pazza”, cibi transgenici, organismi geneticamente modificati (OGM), eccessivo utilizzo di pesticidi, influenza aviaria, pesci al mercurio, hanno trovato terreno fertile per poter amplificare questa nuova fobia. Che malattia resta, sia chiaro. Il punto è che l’“igiene alimentare” degli atleti (quando saggiamente applicata) non può essere grettamente confusa con quella che - senza dubbio - patologia è. Che poi di ogni nostra abitudine si voglia creare una patologia, questa è un’altra (risaputa) realtà.

 

Pensare ortoressico

Il pensiero di un ortoressico si esprime tipicamente in questi termini: “Il mio stile di vita è l’unica via corretta per stare in salute; tutti gli altri sbagliano. È una via molto dura e occorre avere una personalità estremamente forte per seguirla. Bisogna essere sempre rigidi sulle proprie posizioni: niente sgarri; mai! Chi mangia male non è degno della mia compagnia: per questo mangio sempre a casa, da solo, e se dovesse mai capitare di dover mangiare fuori, devo trovare il mio cibo, altrimenti preferisco non mangiare”.

Tutto di solito inizia seguendo un qualsiasi regime alimentare, per i fini più disparati: migliorare la propria salute, dimagrire, trattare una qualche patologia. L’attenzione verso l’alimentazione cresce poi sempre di più, fino a divenire maniacale, portando conseguentemente a drastiche restrizioni. Questa ossessione per il cibo, gradualmente e inconsciamente, conduce al progressivo allontanamento dagli altri (affetti compresi), con perdita dei rapporti sociali ed insoddisfazione affettiva: tutto ciò non fa altro che favorire ulteriormente l’ossessione verso il cibo (3), finché la dieta diviene l’unica ragione di vita.

 

Perché un atleta non è un ortoressico

Nell’accezione più estesa, comunque, l’ortoressia non si limita unicamente all’attenzione verso il cibo “sano”, ma abbraccia anche le eccessive premure verso il proprio corpo. Ed ecco allora trovare nell’atleta il prototipo ideale di ortoressico. Questo può anche accadere, siamo d’accordo, quello che però vorrei non succedesse è il solito, automatico, fraudolento e superficiale accostamento della figura dell’atleta con quello di un soggetto che - lui sì – ha indubbiamente dei problemi di natura psichica.

Ci sono differenze manifeste e sostanziali tra un ortoressico e un atleta. Dissonanze che, evidentemente, chi pone sullo stesso piano i due soggetti, disconosce. Cerchiamo di evidenziare brevemente le più palesi.

 

    1 - Ipocondria

L’ortoressico ha paura di ammalarsi ed essere più esposto alle varie patologie: questa è una differenza importante con l’atleta, che, tipicamente, non ha di questi timori infondati (anzi, c’è da considerare il fatto che spesso un atleta ricorre a sostanze – leggi farmaci – che tutto sono fuorché salutari).

 

    2 - Regole ferree

L’ortoressico è convinto che il suo stato di benessere dipenda in modo esclusivo dall’alimentazione e su questo principio sviluppa una serie di regole estremamente ferree che, se violate, comportano un forte senso di colpa e di profonda frustrazione. Tali sentimenti, come in un circolo vizioso, inducono il soggetto ad inasprire ulteriormente le proprie regole alimentari. Così, con lo scopo di non “sbagliare” cibo, l’ortoressico ricerca ossessivamente le componenti nutrizionali degli alimenti e le loro caratteristiche. E all’angosciosa ricerca del cibo “giusto” dedica la quasi totalità del suo tempo.

È vero, molti atleti assumono spesso un tale tipo di comportamento alimentare e credo che allora si possa sospettare una condizione ortoressica. Ma, ripeto, ritengo che l’attenzione (anche meticolosa) nel quotidiano verso ciò che si introduce per via alimentare, non solo non debba essere minimamente scambiata per una forma di patologia, quanto dovrebbe essere assunta a paradigma comportamentale dalla popolazione generale. E ciò non significa assolutamente dover pensare all’alimentazione 24 ore al giorno. L’atleta, poi, ha bisogno di ancor meno tempo: la sua cultura alimentare è talmente radicata che il gesto viene quasi “naturale” e l’inconscio lo indirizza verso la nutrizione più corretta.

 

    3 - Maleducazione alimentare

L’ortoressico preferisce “morire di fame” piuttosto che mangiare cibi che ritenga dannosi e, col proposito di non “sbagliare” alimento, conosce meticolosamente la percentuale di nutrienti presenti negli stessi. Far divenire tutto ciò la propria unica ragione di vita è senza ombra di dubbio sinonimo di patologia, ma, visto l’attuale radicato malcostume alimentare (confermato dalla crescita esponenziale di fenomeni come obesità e diabete), ritengo che l’educazione alimentare dovrebbe essere un obiettivo da perseguire sin dalle scuole dell’obbligo (e invece non viene affatto insegnata in alcun istituto di ogni ordine e grado!). La maggior parte di noi disconosce le nozioni basilari della nutrizione più elementare, come il contenuto (qualitativo e quantitativo) di macronutrienti negli alimenti di uso comune. E pensare che c’è chi questa (rara) cultura la ritiene un prodromo patologico…

 

    4 - Il “cestino”: mania o necessità?

Infine, gli ortoressici sviluppano una sorta di “comandamento alimentare”, finendo per dedicare sempre più tempo all’attuazione del regime nutrizionale. Sulla scorta di queste osservazioni, viene aspramente criticata l’abitudine di questi soggetti di portare con sé - quando escono - il classico “cestino” con i propri cibi, escludendo a priori di consumare pietanze elaborate dagli altri, temendone la preparazione. Questo è un comportamento tipico di molti atleti e devo dire che non ci vedo alcunché di paranormale, giacché, se mangiare fuori casa è un’abitudine, le scelte cui tutti dovremmo ricorrere dovrebbero essere due: reperire il cibo “necessario” o, appunto, il “cestino”. Se invece l’uscita è un fatto occasionale, siamo d’accordo, non c’è motivo di ricorrere al “cestino”.

 

 

Ortoressia o disciplina ?

Stando alle attuali definizioni del termine ortoressia, Sylvester Stallone potrebbe essere un “pretendente al titolo”. Sly è un convinto salutista; anzi, è talmente estremo nel suo stile alimentare da sfiorare il confine con questo nuovo fenomeno. “Non mangio un tipico sandwich da 15 anni” - si apprende dal suo sito - “… e se mi fermo a mangiare al McDonald's, entro in convulsione! Sono così radicale col mio regime alimentare che se mangio persino un hot dog, finisco per avere crampi e spasmi”. E questo atteggiamento drastico non si limita al solo regime alimentare, ma anche al training, che Sylvester in passato ha spesso condotto in maniera inappropriata (per utilizzare un eufemismo).

Stallone aveva già 30 anni quando girò il primo “Rocky” e nel giro di poco tempo riuscì letteralmente a trasformare il proprio corpo, facendolo assurgere a modello per molti giovani. Oggi è noto per la sua determinazione (persino Schwarzenneger una volta ebbe a rimarcare la sua enorme forza di volontà) e per la sua capacità di lavorare duro, ma quelle capacità – almeno all’inizio della sua carriera –  sono state espresse alquanto male. Per girare “Fuga per la vittoria”, ad esempio, il suo introito calorico era di sole 200 kcal al giorno (!), quasi tutte da proteine (“occasionalmente una patata, giusto per non svenire”). In questo modo portò il suo peso corporeo a 72 chili, il peso più basso da lui raggiunto fino a “Rocky III”.

 

 

Fig. 2 L'abnegazione di Stallone e la sua determinazione sono diventate un simbolo ed una fonte di ispirazione per milioni di giovani nel mondo sin dai suoi esordi cinematografici con la saga di Rocky.

 

 

Per Rocky III, Stallone mangiò ancora meno: 10 albumi, una fetta di pane tostato al giorno ed una porzione di frutta ogni terzo giorno (sempre “giusto per non svenire”). Contemporaneamente, praticava un’enorme quantità di lavoro fisico: oltre tre chilometri di jogging, 18 round di boxedue ore tra pesi e salto con la corda… tutto eseguito al mattino. Al pomeriggio, dopo un breve sonnellino, ripartiva a correre di nuovo, finendo la giornata - come se non bastasse - con una nuotata. In questo modo, il suo peso corporeo scese al proprio minimo storico: 70 chili (lasciandolo magro, ma “debole e stordito”).

 

Fig. 3 Per ottenere l'effetto "ultra-slim"del terzo episodio di Rocky, Stallone mangiò pochissimo allenandosi moltissimo, tanto da arrivare quasi a non reggersi in piedi.

 

Il training estremo continuò anche nell’occasione di “Rocky IV”. Ma con un tale regime, gli effetti nefasti erano dietro l’angolo. Così, nella scena in cui Rocky traina la slitta, Stallone si infortunò ai pettorali e due settimane dopo un dolore lancinante nel torace lo indusse al ricovero in ospedale, dove gli riscontrarono un’ammaccatura al muscolo cardiaco. Fortunatamente, tutto si risolse per il meglio e dieci giorni dopo poté tornare sul set per terminare le riprese. D’altronde, con un così basso apporto nutritivo e un così alto livello di training, non era illogico attendersi un incidente. E non era il primo infortunio: mentre si allenava, come al solito intensamente (per non dire eccessivamente), con il due volte Mr. Olympia Franco Columbu per girare “Rocky II”, Sly strappò i suoi pettorali, dovendo andare sotto i ferri per un intervento di quattro ore.

 

Fig. 4 Con l’intento di diventare ancora più magro e piccolo, così da enfatizzare l’immagine “Davide contro Golia”, Stallone attuò un training ed una dieta estremi che lo condussero ad un serio infortunio.

 

Oggi, Stallone ammette di aver seguito un regime malsano in quei tempi: “Mi allenavo a stomaco vuoto, finendo per cannibalizzare me stesso... Ero pelle e ossa e prendevo una gran quantità di caffé per stimolarmi e avere energia”. Perciò, sulla base dell’esperienza, ha provveduto a modificare il suo stile di vita, sia dal punto di vista dell’alimentazione che del training. Così oggi, prima di allenarsi al mattino, fa colazione (es. due uova, quattro fichi e qualche fetta tostata di un certo pane tipicamente americano); poi, relax per circa un’ora (anche per digerire) e verso le 9.00 va ad allenarsi. Come la colazione, anche pranzo (solitamente pollo - occasionalmente vitello -, insalata e altre verdure - tipo zucca - e fichi) e cena (pesce, insalata e pane integrale tostato) sono alquanto magri (forse troppo…) e preparati molto semplicemente.

Dunque, da un possibile quadro simil-anoressico, Sly rischierebbe oggi di rientrare in quello dell’ortoressia. La sua attenzione verso la qualità del cibo è altissima, così come lo è quella nei confronti del training e del suo corpo. Eppure, Stallone – come noto – ha altri interessi oltre questi, quindi è ben lungi dall’essere inquadrato come ortoressico. Con ciò voglio solo sottolineare come possa essere tendenzialmente facile cadere nell’errore di confondere la meticolosa attenzione (altrimenti detta “disciplina”) verso certi aspetti della propria vita, quali appunto alimentazione e allenamento, con la vera patologia.

 

Fig. 5 Sylvester Stallone oggi ha 60 anni: sarebbe impossibile mantenere la sua condizione fisica senza prestare una meticolosa attenzione al proprio regime nutrizionale ed al proprio livello di attività fisica. Ciò non significa, tuttavia, rientrare inevitabilmente in quadro ortoressico.

 

 

Conclusioni

Avendone criticato molti aspetti, non vorrei essere stato frainteso, perciò ribadisco: l’ortoressia esiste. Ma solo quando ogni altro desiderio o interesse (es. sessuale, lavorativo) al di là del cibo viene ad essere secondario o totalmente ignorato, se ne dovrebbe teorizzare l'esistenza. Allora - e solo allora - si potranno ipotizzare (ed eventualmente indagare) problematiche della personalità (insicurezza, scarsa autostima ecc.).

Certo, anche nei casi più lievi il pericolo è in agguato, soprattutto in considerazione del fatto che molti tra gli attuali modelli alimentari sono “ortoressizzanti”. Ecco perché drizzo le orecchie quando qualche paziente mi pone davanti al fatto compiuto che 100 g di fesa di tacchino femmina contengono ben un grammo di proteine in più rispetto alla stessa quantità di petto di pollo (maschio). E, conscio della grossa responsabilità che ho nel mio ruolo di dietista, so di dover stare molto attento a che le mie indicazioni non diventino regole assolutamente imprescindibili. D’altronde, però, il problema non può essere affrontato col presupposto che conoscere la composizione degli alimenti o ricercare il cibo più sano, sia patologico. Tanto meno definendo ortoressico un atleta.

È anche vero che molti atleti esasperano la propria immagine, la propria condizione, volendone a tutti i costi evidenziare la differenza col resto della popolazione, quasi a voler dire: “guarda che io sono ben diverso da te… io sono disposto ad affrontare qualsiasi sacrificio per aver questo corpo e se questo significa mangiare sempre “pulito”, io sono in grado di farlo, tu no: ergo, io sono migliore di te e tu non potresti mai essere come me.” Questa è ortoressia (se non follia) e va curata. Allo stesso tempo, anche il pensare che “riso e petto di pollo” siano gli unici alimenti “sani” e “puliti” è un comportamento da sradicare con tutte le forze. Tuttavia, è da considerare “fisiologico” che un atleta, quando ricerchi per un determinato periodo la massima forma fisica, attraversi periodi transitoriamente ortoressici e quindi possa trovarsi in condizioni da “dover” - come ho fatto anch’io ad un mese da una competizione - soffiare sulle candeline della propria torta di compleanno, ma non mangiarne.  In conclusione, chi persegue una corretta via nutrizionale per migliorare il proprio benessere psicofisico non può essere definito ortoressico.

“Il male non è ciò che entra nella bocca di un uomo, ma ciò che ne esce”. (Sacre Scritture)

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

1. Catalina Zamora ML, Bote Bonaechea B, Garcia Sanchez F, Rios Rial B, Orthorexia nervosa. A new eating behavior disorder?, Actas Esp Psiquiatr, 33 (1), 66-68, 2005.

 

2. Bratman S, Knight D, In: Health food junkies, Broadway Books, New York, 2000.

 

3. Donini LM et al, Orthorexia nervosa: a preliminary study with a proposal for diagnosis and an attempt to measure the dimension of the phenomenon, Eat Weight Disord, 9 (2), 151-157, 2004.