Perché il diabete
Il diabete è per il 50% dovuto a genetica e per l’altro 50% a fattori legati allo stile di vita. E tra quelli legati allo stile di vita, quello più importante è di sicuro l’obesità.
Quando la cellula adiposa si gonfia (ingrassa), l’intero tessuto adiposo smette di incamerare glucosio. Si viene così a configurare una condizione di insulino-resistenza, che è l’anticamera del diabete. Cioè i carboidrati iniziano ad essere mal tollerati.
La distribuzione grassa (e non il totale del grasso) nel corpo è un fattore critico, perché la resistenza insulinica è notoriamente associata con il
grasso intraddominale.
Questo non significa che tutti gli obesi siano insulino-resistenti, ma di certo l’obesità è una condizione predisponente, anche perché gli adipociti rigonfi rilasceranno gli acidi grassi in circolo, i quali andranno ad aggravare l’insulino-resistenza pure a livello delle cellule muscolari perché il metabolismo degli acidi grassi compete con quello del glucosio.
A ciò si aggiunge anche il fegato. L’eccesso di calorie a cui soccombiamo oggi lo espone a un bombardamento continuo di insulina, e l’organo comincia a interpretare l’ormone in modo differente, ossia come uno stimolo a rilasciare più grassi (trigliceridi) nel sangue. Questi grassi attaccheranno le cellule beta del pancreas, determinando un decremento nella produzione di insulina e, di conseguenza, un aumento degli zuccheri nel sangue.
E il ciclo ricomincia, stavolta però con sempre meno insulina. Il che significa che da una condizione iniziale di insulino-resistenza e di probabile diabete di tipo II, trattabile quindi con ipoglicemizzanti orali, si potrà sfociare nel diabete di tipo I, che richiede iniezioni di insulina.
Perciò la linea di separazione tra diabete di tipo I e di tipo II è molto labile. Tanti diabetici scompensati lo sanno: partono con la terapia orale e dopo qualche anno sono costretti all’insulina più volte al giorno.
Molti medici, anche diabetologi, hanno una grossa responsabilità in questo, per via del grosso limite nell’inquadrare le patologie prettamente in termini farmacologici. Se diamo al paziente solo la compressina e non gli forniamo le giuste raccomandazioni circa dieta e movimento da svolgere, rischiamo che lui interpreti la sua condizione come dipendente unicamente dal farmaco, e allora si abituerà a pensare: “Se mi capita, mangio di più e prendo una pillola in più”.
Non è così che funziona, bisogna spiegarglielo. Il diabete (II) si cura PRIMA con dieta e attività fisica, e poi con i farmaci.
NON consegnado il fogliettino prestampato con “cibi consentiti e cibi vietati”.
NON rassicurandola con: “Signora, faccia delle passeggiate”.
C’è un motivo ben preciso per cui l’attività fisica deve essere mirata e non gettata lì all’insegna del “purché si muova”. A livello cellulare sono presenti dei trasportatori per il glucosio, che si chiamano Glut. La contrazione muscolare determinata dall’esercizio fisico richiama sulla membrana cellulare questi Glut, che potranno quindi prendere il glucosio e farlo utilizzare dalla cellula.
Ma l’esercizio deve essere settoriale: se voglio “tirare fuori” i Glut sul torace devo allenare il torace. Viceversa, in assenza di attività fisica costante o in presenza di attività circoscritta i Glut verranno sequestrati all’interno della cellula; ciò significa che quando arriverà il glucosio troverà la porta chiusa.
Ecco perché l'attività fisica, insieme alla dieta, è il cardine del trattamento del diabete, ancor prima dei farmaci. Ecco perché alla signora con l’insulino-resistenza le passeggiate non recheranno grossi benefici. Ed ecco perché non solo i medici ma anche il personale operante in palestra devono avere una formazione sufficiente nel campo del movimento tale da affrontare questi casi con cognizione di causa.
Scendere dai divani, dalle pedane vibranti, scendere dai tapis roulant e prendere in mano i pesi. A qualunque età.
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