La fibra bianca è uno svantaggio in natura. La selezione ha favorito chi utilizzasse i depositi energetici più lentamente per poter superare le frequenti carestie. E le fibre rosse sono più efficienti in tal senso, perché utilizzano circa la metà della quantità di ATP per unità di lavoro, ossidando preferenzialmente gli acidi grassi e tendendo così a risparmiare una risorsa molto più limitata come il glicogeno. 

Gli atleti di resistenza hanno una maggior percentuale di fibre rosse. Sarà un caso, ma i migliori maratoneti provengono tutti dalla stessa piccola area dell’Africa: la zona della Rift Valley nel Kenya, la regione in cui ha avuto inizio l’evoluzione dei primi uomini. 

Questo è uno dei motivi per cui, in generale, non è facile metter su massa muscolare oltre un certo livello e del perché, appena possa, l'organismo cerchi di disfarsi del muscolo in eccesso. Le fibre bianche sono quelle più ipertrofizzabili, e il corpo non li vuole i “muscoloni”, tende ad opporsi. Sono una fatica da mantenere, un dispendio energetico gravoso, uno svantaggio.

 

Quasi sempre si parla di “gene parsimonioso”, ma in realtà è esistito anche un ESERCIZIO PARSIMONIOSO. Il glicogeno serviva nei momenti appunto di “fight”. Se non ci fosse stata un’abbondanza di fibre rosse a coprire la maggior parte del lavoro nei giorni di caccia (parliamo di giorni e giorni di caccia senza esito, quindi SENZA portare attacchi), in condizioni di semi digiuno, un individuo eccessivamente muscoloso (fibre bianche) vi sarebbe arrivato coi depositi svuotati. Durante le carestie, perciò, gli individui più “rossi” avrebbero avuto un vantaggio di sopravvivenza, perché potevano fare affidamento su maggiori livelli d’energia per mantenere l’omeostasi. La selezione potrebbe averli favoriti.

È possibile (è un’altra ipotesi) che i cicli abbondanza/carestia compotassero anche ondulazioni sulla massa muscolare, portando a diminuzione di quest’ultima in condizioni di fame e aumentandola invece durante i periodi di intensa attività, quando la proteina veniva sufficiente ingerita. Questo potrebbe avere anche stabilito il ciclo di carenza e replezione di glicogeno su cui tutt’oggi fondiamo le nostre diete. Non parliamo di un singolo episodio in cui è ovvio che più massa = maggior tempo di sopravvivenza. Discutiamo su chi dei due, tra un “maratoneta” e un “culturista”, avrebbe potuto essere nei millenni favorito (premiato) dalla selezione naturale. Il primo è più “economico” per l’ambiente e metabolicamente più avvantaggiato.

 

La neoglucogenesi è un processo antieconomico e pericoloso. Perciò, un altro potenziale vantaggio di sopravvivenza potrebbe essere stato una DIMINUZIONE (e non un aumento) della stessa neoglucogenesi. In questo modo, solo in ultimo si sarebbero utilizzate le proteine strutturali per la conversione in glucosio. Prima il muscolo (rosso) avrebbe ossidato preferenzialmente gli acidi grassi, sempre col fine di risparmiare il glicogeno.

 

 

Questo  gene della resistenza ha un nome: PPARδ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor). Sappiamo che le fibre muscolari non sono fisse, ma possono trasformarsi da un tipo all’altro a seconda della tipologia di lavoro che abitualmente si imponga loro. Benissimo, questo gene è capace di ricreare nel muscolo le stesse condizioni che determina l’allenamento di resistenza, ossia cambiare il tipo di fibra muscolare verso il “rosso”. 

E attenzione, lo fa SENZA BISOGNO DI ESERCIZIO FISICO! Ciò si traduce in un aumento della capacità di resistenza. Ma non solo: l’incremento di fibre rosse può accompagnarsi ad un profilo metabolico migliore (l’insulina agisce meglio) e ad una protezione contro l’obesità. Questo dimostra che caratteri come fatica e resistenza possono essere geneticamente manipolati. E lascia aperte alcune domande:

• è possibile che milioni di anni fa il nostro predecessore in Africa, abbia potuto sviluppare tale gene per via di un adattamento all’ambiente “ostile”?

• è possibile che, a causa delle mutate esigenze di vita, tale gene sia poi andato perso, e magari si sia mantenuto solo in alcuni genotipi come gli attuali maratoneti kenioti? 

• è possibile che tale gene possa essere una delle chiavi di volta per la lotta all’obesità (avete mai visto un keniota grasso)? 

• è possibile creare campioni dello sport in laboratorio?

 

Nel video si dimostra come in un esercizio di 90 minuti (TRANQUILLI, il file dura solo 29 secondi), i topi geneticamente modificati (alla vostra destra nel filmato), cioè trattati con un agonista PPARδ, sebbene provati continuino a resistere mentre quelli “normali” cedano. (Intorno al 15° minuto reggevano ancora più o meno alla pari.) Pensate che se il topo che nel video capitola potesse attaccare la “riserva” (neoglucogenesi), non lo farebbe? Carne ne ha ancora molta addosso… In natura questo significa una cosa sola: morte. Non sei adatto per la sopravvivenza, c’è qualcuno migliore di te, l’evoluzione ti fa fuori. Sempre che il sorcio non simuli…


Differenza nel contenuto di fibre rosse dei due topi del video-esperimento di cui sopra: topo normale, a sinistra; topo geneticamente modificato (trattato con un agonista PPARδ), a destra (le fibre rosse sono in blu scuro). Il gene PPARδ favorisce l’espressione di fibre rosse e l’utilizzo di acidi grassi col fine ultimo di risparmiare una risorsa limitata come il glicogeno. Questo serviva all’Homo, e questo la natura fece.

 

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0