Dr. Giuseppe Musolino

 

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Di aria, luce e perette.

 

 

Spunti… spenti (aria fritta)

Potrà sembrarvi di aver sentito di tutto in merito all’alimentazione, ma molto probabilmente non sapete che si può anche vivere nutrendosi… di aria. A dire la verità, al Sud lo sappiamo bene. Vi riporto alcuni passi di una canzone composta da un calabrese oltre 35 anni fa, ma che sembra scritta oggi. Il pezzo si intitola per l’appunto Qua si campa d’aria” ed è pregno di un sarcasmo che mi fa invidia: «Siamo genti felici e stracontente: non abbiamo bisogno mai di niente […] È al Nord che si beve e che si mangia, e c’è bisogno d’evacuar la pancia… Qui invece - ve lo dico in confidenza - non la sentiamo, no, quest’esigenza. Qua si campa d’aria! […] Ma, dice: “se si campa d’aria, tutta questa ‘micrazione, come si spieca?” Si spieca, si spieca… Perché a noi ‘nci piace  viaggiare… conoscere altra gente, altri  paesi… l’America, l’Australia, la Francia, la Germania, la Svizzera, il Belgio… Anche l’Italia! Perché, è brutta Milano? È bellissima! E Torino? Che ci manca a Torino?»… Chiudo qui il discorso sulla Calabria, anche perché sono particolarmente portato allo sproloquio sul tema. Riprendiamo a parlare d’aria (fritta), ché tanto più o meno è la stessa cosa. A proposito di aria, non sono forte in matematica, ma c’è chi mi batte. Su “Cultura Fisica di Novembre-Dicembre 2009, pagina 62, l’autore si lancia in calcoli quanto mai azzardosi: «Supponiamo che io inspiri 10 litri d’aria al minuto. In un’ora sono 60 litri. In un giorno 1440. In un mese 43200…». Prego, vogliamo rifare i conti e verificare che in un’ora sono 600 litri, in un giorno 14400 e in un mese 432000? Ora capisco l’occhio sbarrato della Specola nella stessa pagina (tipo: ma cosa dici mai?).

I’m an elephant, man.

 

In aria

Lazzi matematici a parte, il digiuno nella storia dell’uomo ha origini antichissime. Valga per tutti l’esempio di San Simeone. Vissuto intorno al 400 dC nella zona a nord dell’attuale Siria, iniziò la sua astinenza dal cibo in occasione di un periodo di Quaresima. Diversi giorni più tardi fu trovato in condizioni di incoscienza. Ripresosi, qualche anno dopo si ritirò in preghiera in uno spazio molto ristretto su un pendio roccioso, ma qui una moltitudine di pellegrini iniziò ad accorrere per chiedergli un consiglio, una preghiera o semplicemente per toccarlo e magari riuscire ad accaparrarsi come amuleti brandelli della sua tunica o ciocche dei suoi lunghissimi capelli. Tutto ciò lo distoglieva dalle sue orazioni. Decise perciò di isolarsi in un modo decisamente insolito: creò sulla sommità di un pilastro una piccola piattaforma, e in cima ad esso decise di rimanere per il resto della sua esistenza, sopportando la fame, le piaghe e le intemperie. Per questo venne definito “lo stilita” (dal greco stilo=pilastro). Visse così per 37 anni. Di aria, in aria. Ma anch’egli, per quanto poi Santo, ogni 40 giorni prendeva un po’ di cibo. (1) Lo stesso Gesù secoli prima aveva digiunato per 40 giorni nel deserto; ma poi mangiò. (2) E pure i discepoli di Simeone, altri stiliti, erano assistiti dai loro confratelli che una volta al giorno portavano sulle colonne cibo e acqua.

Morale (ovvia, ma come vedremo non per tutti): non si può vivere senza cibo oltre un certo periodo.

 

Fig. 1 San Simeone lo stilita, raffigurato in una rappresentazione del 16° secolo sulla colonna sulla quale visse per 37 anni.

 

 

Ehretismo

La storia del digiuno vide un altro protagonista importante sul finire dell’Ottocento, quando un tale di nome Arnold Ehret, colpito da una patologia renale, ben pensò di dar la colpa almuco, cioè a una sostanza prodotta nel tratto intestinale da determinati cibi, che egli decise - d’emblée - essere antinaturali per l’uomo. Secondo Ehret, col tempo questo muco avrebbe ostruito vene e arterie, impedendo il perfetto assorbimento dei nutrienti e causando deficit nutrizionali. Sosteneva che eliminando il muco fosse possibile addirittura assimilare direttamente l’azoto dalla stessa aria respirata (3), invece che dalla carne. L’Arnoldo pensò allora di curarsi con dei periodi di digiuno. A questo (lui o qualche suo seguace) chicche” con finalità disintossicanti, come bagni di sole, bagni d’aria, saune, argilla, tisane, ma soprattutto enteroclismi, ossia lavaggi interni dell’intestino. L’idrocolonterapia. I clisteri. Le perette, va. L’ennesima metodica, attualmente ancora in voga, che promette di guarire tutti i mali del mondo, dalla stanchezza cronica alla depressione, dalla perdita dei capelli al diabete, dall’emicrania alla stipsi, dalla delinquenza all’inquinamento…

 

Fig. 2 Una sorridente immagine di Arnold Ehret.

 

 

La scoperta dell’acqua calda

Chi pratica l’idrocolonterapia, lo fa con lo scopo di svuotare l’intestino, pensando così di riuscire a eliminare, e quindi a non assorbire, le sostanze ingerite. Tant’è che spesso il metodo è propinato come trattamento dimagrante. Tutto ciò è del tutto illusorio, perché il clistere può tutt’al più arrivare a interessare solo l’ultimo tratto dell’intestino, cioè il colon discendente e il retto. Anche utilizzando una grossa quantità di liquido, si potrà al massimo arrivare al colon trasverso, e ciò sarà perfettamente inutile ai fini succitati, perché a quel livello arrivano unicamente i residui non assorbibili dei cibi, come le fibre: i nutrienti sono già stati assorbiti nel tenue. Ma si sa, pur di evitare il supplizio della dieta, la gente è disposta a tutto. Anche a mettersi carponi nella tristezza del proprio cesso, con i denti stretti e un tubo in culo. Per esempio, il mirabolante sistema della dottoressa Kousmine, metodo che annovera al suo seguito un elevatissimo numero di convinti seguaci, fa ampio uso delle perette. Sul sito è spiegato in dettaglio come procedere: «Dopo che il liquido è stato interamente introdotto, avviene la defecazione, che deve essere completa. Appena l’intestino si è calmato dopo l’evacuazione, procedete all’introduzione dell'olio di girasole […] necessaria per un risanamento completo delle pareti intestinali […] mediante una peretta da bambini o, meglio, una siringa da 100 ml, (ovviamente priva di ago!). […] Può essere opportuno, almeno per le prime volte, mettere dopo l’introduzione dell’olio di girasole un pannolone, per evitare che eventuali piccole perdite di olio macchino i vestiti o le lenzuola».

Chi non riesca a fare gli enteroclismi, può sostituirli con il metodo della brodaglia salata. Sempre dal sito della Kousmine: «Si fa bollire un litro d’acqua con verdure, possibilmente biologiche (per es. una piccola cipolla, una costa di sedano, una carota, una piccola rapa o un pezzo di cavolo); si aggiungono due cucchiai di sale marino non raffinato; si lascia raffreddare fino a quando la temperatura permette di berlo; poi lo si beve tutto in un quarto d’ora (è importante che sia ancora caldo). Qualcuno trova il brodo vomitevole: dipende dai gusti personali […] Si ottiene l’evacuazione dell’intestino in pochi minuti. […] È raccomandabile farla seguire da un piccolo clistere di olio di girasole»…

 

Fig. 3 Una peretta rifilata tramite siringone a una sventurata nell’Ottocento.

 

 

Il tempo delle pere

«O meravigliosa pompetta

che tenero orifizio disinfetta

Gaudio, giubilo sovrumano

che t'infibula l'ano

meraviglia della scienza,

frutto di sapienza

come può culo di te fare senza?»

                                                                               Alessandro Manzoni

 

E allora ecco pronti a novanta gli italici emuli: «Ho deciso: alla sera mi pratico un clistere di camomilla per svuotare l'intestino, cosi di notte dormendo non sento la fame. Ho preparato due litri di camomilla, e quando l'acqua si è fatta tiepida… ho aperto le danze! Purtroppo il mio gabinetto non è il posto ideale: sarà sì e no 1x1.5 metri, e non si può certo stare sdraiati. Inoltre ho messo il gancio per appendere la vaschetta troppo in alto e la cannula non arrivava abbastanza vicino a terra. La posizione più comoda che ho trovato è stata inginocchiato davanti al water. Purtroppo, con tutti questi inconvenienti, dopo che circa un litro di acqua era entrato, ho dovuto mollare per raggiunti limiti di sopportazione. Quello che è uscito però mi ha sorpreso perché dall'inconfondibile colore rosso non potevano che essere le cime di barbabietole lessate che avevo mangiato solo 5-6 ore prima! Possibile che fossero già arrivate al colon? O forse il loro succo arriva molto più in fretta? A parte gli inconvenienti, direi che è stata un’esperienza positiva: cercherò di allenarmi a trattenere, così da riuscire a utilizzare tutti i due litri d'acqua!».

 

Fig. 4 Altro clistere, stavolta somministrato con un piacevole soffietto.

 

 

 

Dieta light

Tornando all’ehretismo, comunque, questo evolse poi in una tecnica simile, nota come breatharianismo» (dall’inglese breath=respiro). Di primo acchito potrebbero sembrare la stessa cosa, perché sempre niente si ingerisce per via alimentare, ma c’è una differenza fondamentale: mentre l’ehretismo si basa sul digiuno, i breathariani si nutrono di - rulloditamburi - luce! «Tutte le sostanze vitali provengono dalle energie dell'universo, e in tal modo si può fare a meno di qualsiasi cibo e liquido», dicono gli adepti. La capacità di vivere senza nutrirsi di cibo è stata nel tempo millantata da diversi grandi maestri, quali Elijah, Babaji, Babajo, Bubi e l’orso Yoghi. Oggi, invece, a magnificare le virtù di quella luce che i cinesi chiamano qi, gli yogi prana e noi italiani sola”, non è un asceta che vive in ritiro tra i monti tibetani, ma una bellissima ed energica donna australiana di nome Ellen Greve. Peggio nota con lo pseudonimo di Jasmuheen, la Greeve è un’ex consulente finanziaria diventata ricca vendendo libri sull’argomento e tenendo conferenze in giro per il mondo.

 

Fig. 5 Un'immagine... mistica di Jasmuheen, la sola” che sostiene di poter vivere di luce.

  

 

Nel 1999, il programma televisivo australiano 60 minutes” le offrì la possibilità di dimostrare le sue doti in un esperimento filmato sotto la supervisione di un medico. Jasmuheen accettò, ma già dopo 48 ore iniziò a mostrare sintomi di cedimento: stress, ipertensione, disidratazione. La sedicente guru diede la colpa all'aria inquinata: «Il settanta percento delle mie sostanze nutritive proviene dall’aria fresca. Qui non posso nemmeno respirare». La troupe la condusse allora in montagna. Qui sembrò che il posto fosse di suo gradimento, ma nel giro di pochi giorni cominciò a evidenziare nuovamente segni di indebolimento: perse sei chili, continuò a disidratarsi, mostrò le pupille dilatate e la capacità di parlare appariva rallentata. Preoccupato, il medico supervisore decise allora di far interrompere l’esperimento. La Jasmuheen protestò, dichiarando che il suo DNA sarebbe stato in quel momento in una fase di evoluzione (unica al mondo e nella storia). Allora le offrirono 30.000 dollari per provare attraverso un’analisi del sangue la sua affermazione, ma lei rifiutò, frignando: «Non si può vedere l’energia spirituale sotto un microscopio».

Auè, mò t’facc’a magia.

 

Vivere di luce, morire di fame

Diversi seguaci di Jasmuheen morirono in ogni parte del mondo mentre cercavano di vivere di luce. Nel 1997, Timo Degen, un insegnante trentunenne di Monaco, dopo aver letto su internet le tesi della Greve, decise di sperimentare la dieta dell’aria. Si spense dopo dodici giorni.

Nel 1999, un medico australiano e consorte, entrambi breathariani, furono processati per omicidio colposo dopo che una donna morì sotto le loro cure di aria fresca ispirate alle teorie di Jasmuheen. Lani Morris, questo il nome della donna, perse l’uso della parola e del braccio destro dopo sette giorni di astinenza da cibo e acqua e morì tre giorni più tardi. Jasmuheen commentò che la signora Morris forse non aveva la motivazione giusta. Una rivista tedesca osservò che una morte su cinquemila non fosse un prezzo troppo alto da pagare per combattere la fame nel mondo.

Nello stesso anno, in Scozia, una donna di nome Verity Linn, altra seguace del bretharianesimo, fu trovata morta per inedia a seguito di una dieta per purificarsi. Il ritrovamento del suo diario svelò che da una decina di giorni stava cercando di ottemperare a un rituale di «pulizia interna» normalmente praticato dai monaci tibetani.

In India, il discorso può essere diverso. Lì, morire di fame non è solo un modo di dire. E in certi casi non è neanche un incidente», ma una scelta. Si chiama santhara ed è l’antichissimo rituale religioso jainista della morte volontaria susseguente al digiuno. I sostenitori della pratica lo ritengono diverso dal suicidio perché, al contrario di questo (di solito attuato in un momento di abbattimento morale), è eseguito con serenità e in piena facoltà mentale. Un modo per prepararsi alla morte nel momento in cui si ritenga che la propria vita abbia raggiunto il suo fine, con la convinzione di staccare l’anima dal corpo. Pare che ogni anno in India circa 240 persone scelgano questa via di fuga. (4)

 

Food locker

Comunque, in India c’è anche chi digiuna, o sostiene di farlo, per motivi totalmente diversi dal santhara. Sempre nel 1999, una donna di nome Kumari Neerja, sosteneva di essere la reincarnazione di Saraswati, la dea indù di lettere e letteratura. Viveva in un piccolo ripostiglio e asseriva di non mangiare né bere né urinare né defecare da cinque anni. Quando il suo manager (perché volete che un’aspirante dea non abbia un manager?) annunciò che si sarebbe presto trasformata in una statua senza vita di Saraswati, la polizia si allarmò. E furono cazzi amari per Kumari. Nel ripostiglio fu rilasciato un gas (innocuo) che provocava il vomito, e Cummari Neerja rimise pezzi di chapati (un pane indiano) e patate. Ispezionando la sua stanza, fu rinvenuto all’ingresso dei servizi igienici, nascosto dietro uno scaffale, un buco di mattoni, attraverso il quale la dea riceveva il cibo. Alla fine, la donna fu presa in stato confusionale e, dichiarata caso mentale, ricoverata in ospedale.

Ancora prima, nel 1992, il semidio Pilot Baba, affermò di riuscire a sopravvivere in meditazione sott’acqua per cinque giorni. Il proclama richiamò una folla di circa quattromila persone, davanti alle quali Baba si immerse in una piscina, scomparendo per quattro giorni. Peccato che gli addetti alla supervisione scoprirono una speciale conduttura segreta, nella quale il dio si era rifugiato standosene agiatamente all’asciutto. Nel 1996, il Grande Baba ci provò di nuovo (a truffarci), sostenendo di poter rimanere sepolto sotto terra per quattro giorni. Questa volta lo beccarono seduto comodamente in un garage sotterraneo.

 

Fig. 6 Il grande guru Pilot Baba, più volte beccato a truccare i suoi esperimenti ascetici.

 

 

Bluffone

Ed è di pochi mesi fa la notizia che ha fatto il giro del mondo. L'ennesimo asceta, Prahlad Jani, ha dichiarato di non mangiare e bere da oltre sessant’anni, dopo essere stato benedetto da una divinità indiana. Con una dabbenaggine che supera anche i limiti italioti, il guru è stato sùbito preso e messo sotto osservazione in uno studio coordinato dal Ministero della Difesa Indiano. «Stiamo cercando di capire come sia stato in grado di rimanere senza cibo e acqua per tanti anni», ha dichiarato il neurologo che dirige l'equipe allestita per l'occasione. Il comunicato ha suscitato talmente tanto scalpore (è la prima volta che ci si spinge a tanto) che finanche la Nasa si è gettata nella mischia per studiare eventuali tecniche per «aiutare i soldati a sopravvivere più a lungo senza cibo o permettere alle vittime dei disastri di resistere fino all'arrivo dei soccorsi».

La vera cosa scioccante di questa storia è vedere che funzionari di governo e scienziati della Nasa siano così ingenui da credere che un essere umano possa spravvivere sessant'anni senza cibo nè acqua. Se ci mettiamo a discettare pure di questioni come queste, non ne usciamo più. E infatti non se ne esce. Se ciò fosse anche solo lontanamente ipotizzabile, significherebbe smentire ogni singola legge della fisiologia e dover riscrivere tutti i libri di testo scientifici. Questa si chiama promozione della pubblica credulità (pubblic-ità) e mina lo sviluppo scientifico, anche perché sottrae tempo, forze e risorse alla vera ricerca. Senza contare la subdola incombenza di altri due fattori: l’affronto rivolto alle popolazioni che soffrono realmente la fame e il potenziale pericolo insito nel giocare con storielle simili in un periodo in cui lo spettro dell’anoressia aleggia sempre più minaccioso.

 

Fig. 7 Il santone indiano Prahlad Jani sotto osservazione medica: sostiene di non mangiare e bere da più di sessant’anni.

 

 

Grande guru

Se pensate che questo sia un problema che interessi solo popolazioni lontane dalla nostra realtà, sbagliate. Perché quanto a minchiate noi italiani non siamo secondi a nessuno. Non ce ne lasciamo scappare una. Basti pensare all’esempio dei clisteri sopra riportato. Se grande guru dice che noi dovere fare peretta, noi fare peretta. Se grande guru dice che noi essere nati per mangiare aria e luce, noi mangiare aria e luce. Il mondo è pieno di emuli e fanatici, e in Italia pullulano. Basta fare un giro in internet per rendersene conto. Sto parlando di forum con oltre 3000 utenti registrati e discussioni attivissime. Forum in cui non ti è concesso partecipare se prima non leggi in adorazione i testi sacri del divino Babacar. Una sgrattugiata di palle che nemmeno Fantozzi costretto sui ceci al supplizio della corazzata Potemkin. Ma puoi sempre entrare da visitatore esterno e leggere perle simili: «Circa un mese fa, giocando a tennis mi sono provocato una bruttissima distorsione al polso. Mi si è gonfiato nel giro di pochi minuti e il dolore era fortissimo. All’inizio, anche sotto pressione di tutti i presenti al campo, la prima cosa che mi è passata in mente è stata quella di andare all’ospedale a fare delle lastre. Tutti, me compreso, sospettavano una frattura, e ancora oggi non so nemmeno se lo sia stata. A quel punto, per fortuna è intervenuta mia moglie, che mi ha fatto ragionare dicendomi: “Ma come, abbiamo letto tanto sia sui digiuni che sull’effetto devastante delle radiografie, per non parlare del fatto che sicuramente vorranno darti dei farmaci all’ospedale… ma sei completamente pazzo?” Ebbene, le ho dato ascolto. Per prima cosa, ho messo del ghiaccio per due giorni e sono stato a riposo. Quando il polso si è sgonfiato un po’ ho messo una fasciatura ben rigida, continuando a stare a riposo. Il dolore diminuiva, ma molto lentamente. Allora ho deciso di iniziare un digiuno, e l’ho portato avanti per sei giorni. Come per miracolo, il 60-70% del dolore è svanito! Ho ripreso a mangiare, ma solo frutta e verdura, e dopo altri 10-12 giorni il polso è guarito quasi del tutto! Sono rimasto allibito, felicissimo, stupefatto! Ragazzi ma vi rendete conto? Non sono andato in ospedale, niente radiografia, niente farmaci... Sono veramente troppo felice, la natura ha fatto il suo corso! A rafforzare il mio entusiasmo ci si è messo il fato. Il giorno dopo il mio infortunio, un famoso tennista inglese ha avuto lo stesso identico mio problema distorsivo al polso destro... ebbene, ancora oggi lui non ha ripreso a giocare e ha dovuto dare forfait (causa i dolori persistenti) a numerosi tornei e fra l’altro anche all'importantissimo torneo di Wimbledon che si svolge in questi giorni...».

In fondo è facile: inspirare, espirare, inspirare, espirare…

Liberate Mamma Ebe e rinchiudete i suoi assistiti.

 

 

 

 

 

 

DIGIUNOGRAFIA

 

1. Pettinati G, I Santi canonizzati del giorno, vol. 1 Udine: ed. Segno, 1991, pp. 61-65.

 

2. Giovanni: 19; Luca: 4:6.

 

3. Ehret A, Il sistema di guarigione della dieta senza muco, Juppiter Consulting,

 

4. Express India, 30 Settembre 2006.