Dr. Giuseppe Musolino

  

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La verità sulle calorie dietro un “muro” di teorie decrepite.

 

 

 

Another brick in the wall

Oscar Wilde ebbe a dire: “Mi piace parlare di fronte a un muro di mattoni: è l'unico interlocutore al mondo che non mi contraddice mai”. Memore di ciò, ogni qualvolta mi trovi a prospettare teorie nuove o diverse da quelle tradizionali, finisco per trovarmi davanti ad un muro (e purtroppo non di mattoni). Ma mentre il muro di Wilde è muto, il mio parla (e come se parla!) e così mi tocca sorbire i suoi magnanimi e illuminanti “ma che dici?!”. Essendo però preparato a ciò, sono solito non lasciarmi demoralizzare e portare avanti i miei approfondimenti. Come quelli che ora sono fiero di presentare.

 

 

Calorie… nel vuoto

Pochi termini sfidano il senso del vacuo e dell’ambiguo quanto quello di “calorie”. Così, quando qualcuno mi riferisce di star seguendo una dieta con “poche calorie” per “perdere peso”, provo un senso di… vuoto. E mi rattristo a pensare che la scienza della nutrizione sia oggi ancora così ferma. Cosa significa “poche calorie”? Quanto è poco? Esiste un numero valido per tutti? E da dove proverrebbero queste poche calorie? E “perdere peso”? Quale peso? In quanto tempo?

L’ancestrale diatriba che ci apprestiamo a discutere ha come concetto di fondo quello che la stessa quantità di calorie, da qualunque fonte essa provenga (carboidrati, proteine o grassi), avrebbe lo stesso impatto metabolico sull’organismo. Secondo tale assunto, quindi, una condizione di bilancio calorico dovrebbe necessariamente esprimere l’equazione: calorie assunte = calorie bruciate. Concetti stantii, vecchi come vecchia è la scienza della nutrizione oggi. Quante volte, infatti, capita di osservare persone che per dimagrire mangiano da tempo la metà delle calorie necessarie per il proprio metabolismo energetico e nonostante ciò continuano a non perdere un etto?

Le calorie sono una conseguenza. Premetto che non è sbagliato ragionare in termini di calorie, ma solo se queste esprimono una consapevole conoscenza della fonte. Altrimenti, prese come valore a sé stante, non hanno alcun importanza. Eppure la maggior parte dei nutrizionisti si ostina ancora a contarle e a fornire ai malcapitati pazienti monotoni schemi dietetici basati unicamente sull’importo calorico degli alimenti. In parte ciò è comprensibile (ma non giustificabile), perché - in un'ottica fidelizzante - il loro scopo è quello di far scendere subito  di peso il soggetto, che solo in questo modo sarebbe soddisfatto del servizio. Inutile star lì a spiegare ai pazienti il concetto di composizione corporea, del rapporto massa magra/massa grassa, dei mitocondri, delle UCP1 o della leptina: non gliene può importare di meno. L’unica cosa che conta per loro è perdere peso, cioé che la bilancia segni meno: se non è così, spesso si perde il cliente. Questa giustificazione però può essere valida per quegli operatori che siano al corrente del reale concetto di calorie e che per i motivi succitati lo ignorino volutamente; per gli altri, ovvero quelli che disconoscano completamente il reale senso delle calorie, abbiamo oggi finalmente dei dati in mano per poter dimostrare quanto molti di noi avevano intuito secoli orsono. Lasciatemi dunque porgere a costoro il mio più cordiale… “ben svegliati!”.

 

 

Una caloria è una caloria?

Per definizione, una caloria è una semplice unità d’energia: come riportano i testi scolastici, "è l’energia necessaria per elevare di 1°C la temperatura di un kg d’acqua, cioè da 15 a 16°C". Una caloria alimentare equivale a 1000 calorie, per cui si definisce kilocaloria (Kcal). (1)

Dal punto di vista nutrizionale, se fosse vero che “una caloria è una caloria”, basterebbe semplicemente coprire il fabbisogno calorico giornaliero con quel numero di kcal dall’alimentazione, infischiandosene della fonte. Se così fosse, significherebbe che per sopperire ad un ipotetico fabbisogno calorico giornaliero medio di 2200 kcal si potrebbero, per assurdo, bere unicamente 3,5 litri di latte… e il gioco sarebbe fatto. L’esempio è assurdo, ripeto: tutti sanno che sarebbe una follia, ma serve a far capire l’errore insito nel ragionare esclusivamente per calorie. È la composizione intrinseca del totale calorico che fa la differenza. Ogni macronutriente, infatti, esercita effetti diversi sul metabolismo: sugli ormoni, sull’appetito, sulla glicemia. Basti pensare ai carboidrati e al loro diverso indice glicemico: pasta e riso variano poco se confrontati per gruppi di nutrienti (carboidrati, proteine e grassi) o calorie, ma molto invece se analizzati in base al loro impatto sulla glicemia. Allo stesso modo, olio d’oliva e strutto variano relativamente poco se raffrontati per apporto lipidico o calorico, ma totalmente se esaminati per valori di colesterolo o di acidi grassi essenziali. Ancora, a parità di contenuto proteico, un integratore di proteine dell’uovo o del siero di latte differisce sensibilmente per l’aminoacidogramma  quindi il valore biologico da uno a base di soia. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

 

 

Cronostoria delle calorie

La prima legge della termodinamica afferma che l’energia non può essere né creata né distrutta, ma solo trasformata. Così, l’uomo, essendo come altri esseri viventi un animale “a sangue caldo”, trasforma costantemente l’energia derivante dagli alimenti per produrre calore. (1) Sin dall’antichità ci si è chiesti da dove provenisse questo calore, la forza vitale, il “fuoco innato”. (2) I filosofi greci (come Platone, Aristotele, Ippocrate) e quelli romani (come Galeno) pensavano che esso giungesse dal cuore, ma che ci dovesse essere una qualche correlazione col cibo. Ma fu solo nella seconda metà del 18° secolo che i lavori del francese Lavoisier fecero luce sulla questione. (3, 4) Egli per primo utilizzò una specie di calorimetro-animale per misurare la produzione di calore. La parte esterna del macchinario fu impacchettata con neve, per mantenere una temperatura costante di 0°C, mentre l’interno fu riempito con ghiaccio. Al centro dell’interno del calorimetro venne posta una gabbia metallica con dentro un maiale da esperimento. Man mano che il ghiaccio interno si scioglieva a causa della respirazione della cavia, l’acqua risultante scorreva fuori dal calorimetro e veniva raccolta e misurata. Ogni kg di acqua da ghiaccio sciolto rappresentava 80 kcal bruciate dall’animale. In 10 ore, si sciolsero 370 gr di ghiaccio, equivalenti a 29.6 kcal (0.37 kg x 80 kcal), sicché Lavoisier concluse: “la respiration est donc une combustion”. Come una candela accesa: difatti, Lavoisier sostenne che un animale, proprio come una fiamma, consuma ossigeno, il quale si combina con sostanze organiche per produrre acqua e anidride carbonica.

Secondo questo principio, dunque, una caloria è una caloria.

 

 

Energia metabolizzabile

Tuttavia, il corpo umano non è una macchina perfetta, per cui la termodinamica non è così “pura”. L’energia liberata dalla combustione di un determinato alimento in un calorimetro non è identica a quella sprigionata dallo stesso alimento nel corpo umano. Per l’uomo si parla infatti di “energia metabolizzabile”, risultato cioè della differenza tra l’energia degli alimenti misurata in un calorimetro e quella contenuta in feci e urine (sempre risultante da un calorimetro). (5) Sulla base di queste osservazioni, successivamente a Lavoisier, Rubner in Germania e Atwater negli Stati Uniti definirono il contenuto calorico dei singoli macronutrienti. Rubner fissò inizialmente questo in 4.1 kcal/gr sia per i carboidrati che per le proteine ed in 9.3 kcal/gr per i grassi.

Atwater introdusse invece un “coefficiente di disponibilità” che teneva conto anche dell’escrezione fecale di alcuni componenti, correggendo gli stessi in quelli attualmente accettati e utilizzati dalla comunità scientifica e dal mondo in generale: 4 Kcal/gr per carboidrati (in realtà, per la precisione, si tratta di 3.75 kcal/gr per gli zuccheri semplici e 4.13 kcal per gli amidi, ma comunemente sono ormai accettate 4 Kcal/gr per tutti i carboidrati) e proteine e 9 kcal/gr per i grassi. (6)

Nel 1970, Southgate e Durnin (7) rilevarono che i principi di Atwater erano ancora validi, ma con un’eccezione: abbondanti apporti di carboidrati non disponibili (fibre) risultavano in un’aumentata escrezione fecale di grassi, azoto ed energia. Queste osservazioni furono in seguito confermate da altre ricerche (8, 9, 10), che dimostrarono come i valori di Atwater riferiti a grassi e proteine sovrastimassero il loro reale apporto energetico, specialmente quando in presenza di congrui apporti di fibra dietetica. (11, 12, 13, 14) Le spiegazioni ipotizzate sono state diverse. (8, 15) In modo particolare, la fibra dietetica può far diminuire il tempo di transito intestinale del cibo (il che significa meno tempo per la digestione e l’assorbimento) e aumentare la capacità di ritenzione d’acqua (che riduce il tasso di diffusione dei prodotti derivanti dalla digestione attraverso la superficie della mucosa intestinale per l’assorbimento). Tutti questi dati indicarono dunque che non tutti i carboidrati dietetici forniscono 4 kcal/gr.

Da questo punto di vista, perciò, una caloria NON è una caloria.

 

 

Le verità nascoste

Molti degli studi propugnatori della teoria che “una caloria è una caloria” non tengono conto di alcuni fattori fondamentali. Sappiamo, ad esempio, che diete iperproteiche e allo stesso tempo ipoglucidiche hanno un impatto sulla perdita di peso notevolmente maggiore rispetto ad altri approcci basati unicamente sulla riduzione del numero di calorie.

Cominciamo allora col dire che l’utillizzazione energetica da diete differenti dipende dal meccanismo energetico in atto. (16) Per esempio, una dieta bassa in carboidrati aumenta drammaticamente la neoglucogenesi in confronto ad una dieta iperglucidica. Ed essendo la neoglucogenesi un processo energetico, consumerà energia supplementare: 6 mol di ATP per la sintesi di 1 mol di glucosio da piruvato o lattato. (17)

La trasformazione degli aminoacidi neoglucogenici (quale soprattutto l’alanina) in glucosio richiede ancora un costo addizionale: 4 mol di ATP per trasformare l’azoto in urea. (17) E l’energia richiesta per mantenere i processi relativi al turnover delle proteine corporee ha un’ulteriore influenza, che aumenta ancora quello appena osservato. (18)

Ecco perchè diete alte in proteine e contemporaneamente contenute in carboidrati sono spesso più efficaci nel perdere peso.

A conferma di ciò, più studi hanno dimostrato come diete iperproteiche e/o ipoglucidiche possano condurre dopo 3-6 mesi a perdite di peso maggiori sia nelle 12 settimane (circa 2.5 kg in media) che nelle 24 settimane (mediamente circa 4 kg) rispetto a diete con apporto calorico simile o inferiore e maggior assunzione di carboidrati e/o di grassi (tab. 1). (19, 20, 21, 22)

 

 

Autore

HP e/o LC

HC e/o LF

Durata studio:

24 sett.

 

Foster et al (19)

(2003)

 

Dieta Atkins

60% C

15% P

25% G

 

HP e/o LC = - 6.9 kg

HC e/o LF = - 3.1 kg

 

Samaha et al (20)

(2003)

37% C

22% P

41% G

51% C

16% P

33% G

 

HP e/o LC = - 5.8 kg

HC e/o LF = - 1.9 kg

 

Skov et al (21)

(1999)

46% C

25% P

29% G

59% C

12% P

29% G

 

HP e/o LC = - 7.5 kg

HC e/o LF = - 5.0 kg

 

Brehm et al (22)

(2003)

30% C

23% P

46% G

53% C

18% P

29% G

 

HP e/o LC = - 8.5 kg

HC e/o LF = - 3.9 kg

 

Tab. 1 Confronto sulla perdita di peso a distanza di 24 settimane tra diete alte in proteine (HP) e/o basse in carboidrati (LC) e diete alte in carboidrati (HC) e/o basse in grassi (LF). C : Carboidrati; P : Proteine; G : Grassi.

 

 

È importante evidenziare che riducendo i carboidrati ad un livello chetogeno (7%), il tasso metabolico si abbassa. La spiegazione di ciò non è ancora chiara, ma potrebbe dipendere da una diminuzione nel livello di attività fisica conseguente ai bassi depositi di glicogeno. (1)

Negli studi non è indicata la percentuale di grasso effettivamente persa rispetto a quella di massa magra (che in ogni dieta viene ad essere sempre più o meno intaccata), ma è ragionevole supporre una perdita muscolare relativamente contenuta negli approcci iperproteici; si potrebbe tenere valido il rapporto di Forbes (23): 80% da grasso e 20% da massa magra (ivi compresa anche la perdita di acqua).

Infine, nel rimarcare i possibili danni associabili ad un alto introito proteico [ma è altrettanto doveroso ricordare come ancora non ci siano evidenze scientifiche tali da affermare una sicura correlazione (24, 25)], altri studi (26, 27) hanno mostrato che una dieta iperproteica si associa ad un tasso metabolico leggermente più elevato e ad un maggior senso di sazietà rispetto a diete iperglucidiche, con una maggior compliance dei soggetti verso il regime dietetico.(28, 29) Quest'ultimo punto ha portato qualcuno ad affermare che le proteine avrebbero un maggior effetto saziante rispetto ai carboidrati. In realtà, come sa bene ogni persona che sia veramente a dieta,  è vero il contrario: chiunque abbia provato ad assumere pochi carboidrati per un certo periodo di tempo conosce bene la vorace iperfagia che si innesca, anche con un apporto proteico “illimitato”.C’è infatti da dire che queste speculazioni sono state confermate da un solo studio a lungo termine. (20)

 

 

Al di là del muro

Qualsiasi realtà, in quanto tale, non può essere che oggettiva e perciò inconfutabile: ecco perchè il fine ultimo di questo lavoro non è assolutamente quello di imporre una visione personale degli errori insiti nel ragionare esclusivamente per calorie, quanto piuttosto quello di mettere in luce - dati alla mano - la verità dei fatti, così che essa possa essere d’aiuto nel comprendere da soli la giusta via da perseguire. Non mi illudo di aver rimosso un solo mattone dal “muro” introduttivo, spero solo di avervi aiutato ad arrivare in cima ad esso e scorgere quanta verità vi giaccia oltre.

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

(beyond the wall)

 

 

 

 1. Is a calorie a calorie?, Buchholz AC, Schoeller DA, American Journal of Clinical Nutrition, 79 (5), 899S-906S, 2004.

 

 2. Webb P, The measurement of energy expenditure, J Nutr, 121, 1897–1901, 1991.

 

 3. Webb P, Human calorimeters, Westport, CT: Praeger Publishers Division, Greenwood Press Inc, 11–22, 1985.

 

 4. Kleiber M, Energy, In: Kleiber M, ed. The fire of life: an introduction to animal energetics, New York: Wiley & Sons, Inc, 105–128, 1961.

 

 5. Moe PW, Future directions for energy requirements and food energy values, J Nutr, 124(suppl), 1738S-1742S, 1994.

 

 6. Widdowson EM, Assessment of the energy value of human foods, London: Cambridge University Press, 1955.

 

 7. Southgate DA, Durnin JV, Calorie conversion factors. An experimental reassessment of the factors used in the calculation of the energy value of human diets, Br J Nutr, 24, 517–535, 1970.

 

 8. Miles CW, Kelsay JL, Wong NP, Effect of dietary fiber on the metabolizable energy of human diets, J Nutr, 118, 1075–1081, 1988.

 

 9. Goranzon H, Forsum E, Thilen M, Calculation and determination of metabolizable energy in mixed diets to humans, Am J Clin Nutr, 38, 954–963, 1983.

 

10. Baer DJ, Rumpler WV, Miles CW, Fahey GC Jr, Dietary fiber decreases the metabolizable energy content and nutrient digestibility of mixed diets fed to humans, J Nutr, 127, 579–586, 1997.

 

11. Kruskall LJ, Campbell WW, Evans WJ, The Atwater energy equivalents overestimate metabolizable energy intake in older humans: results from a 96-day strictly controlled feeding study, J Nutr, 133, 2581–2584, 2003.

 

12. Brown J, Livesey G, Roe M et al, Metabolizable energy of high non-starch polysaccharide-maintenance and weight-reducing diets in men: experimental appraisal of assessment systems, J Nutr, 128, 986–995, 1998.

 

13. Miles CW, The metabolizable energy of diets differing in dietary fat and fiber measured in humans, J Nutr, 122, 306–311, 1992.

 

14. Goranzon H, Forsum E, Metabolizable energy in humans in two diets containing different sources of dietary fiber. Calculations and analysis, J Nutr, 117, 267–273, 1987.

 

15. Southgate DA, Fibre and the other unavailable carbohydrates and their effects on the energy value of the diet, Proc Nutr Soc, 32, 131–136, 1973.

 

16. Feinman RD, Fine EJ, Thermodynamics and metabolic advantage of weight loss diets, Metab Syndr Relat Disord, 1, 209 –219, 2003.

 

17. Hue L, Regulation of gluconeogenesis in liver, In: Jefferson L, Cherrington A, eds. Handbook of physiology: the endocrine system. Vol 2, Oxford, United Kingdom: Oxford University Press, 649-657, 2001.

 

18. Bier DM, The energy cost of protein metabolism: lean and mean on Uncle Sam’s team, In: The role of protein and amino acids in sustaining and enhancing performance, Washington DC, National Academies Press, 109 –119, 1999.

 

19. Foster GD et al, A randomized trial of a low-carbohydrate diet for obesity, N Engl J Med, 348, 2082–2090, 2003.

 

20. Skov AR et al, Randomized trial on protein vs carbohydrate in ad libitum fat reduced diet for the treatment of obesity, Int J Obes Relat Metab Disord, 23, 528–536, 1999.

 

21. Brehm BJ et al, A randomized trial comparing a very low carbohydrate diet and a calorie-restricted low fat diet on body weight and cardiovascular risk factors in healthy women, J Clin Endocrinol Metab, 88, 1617–1623, 2003.

 

22. Samaha FF et al, A low-carbohydrate as compared with a low-fat diet in severe obesity, N Engl J Med, 348, 2074–2081, 2003.

 

23. Forbes GB, Body fat content influences the body composition response to nutrition and exercise, Ann N Y, Acad Sci, 904, 359–365, 2000.

 

24. Manninen AH, High-protein weight loss diets and purported adverse effects: where is the evidence?, Sports Nutr Rev J, 1, 45–51, 2004.

 

25. Manninen AH, Is a calorie a calorie? Biologically speaking, no, Am J Clin Nutr, 80 (5), 1445–1454, 2004.

 

26. Whitehead JM, McNeill G, Smith JS, The effect of protein intake on 24-h energy expenditure during energy restriction, Int J Obes Relat Metab Disord, 20, 727–732, 1996.

 

27. Mikkelsen PB, Toubro S, Astrup A, Effect of fat-reduced diets on 24-h energy expenditure: comparisons between animal protein, vegetable protein, and carbohydrate, Am J Clin Nutr, 72, 1135–1141, 2000.

 

28. Eisenstein J, Roberts SB, Dallal G, Saltzman E, High-protein weight-loss diets: are they safe and do they work? A review of the experimental and epidemiologic data, Nutr Rev, 60, 189–200, 2002.

 

29. Yao M, Roberts SB, Dietary energy density and weight regulation, Nutr Rev, 59, 247–258, 2001.