Dr. Giuseppe Musolino

 

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Il crollo definitivo della teoria delle endorfine come modulatori del dolore post-esercizio.

 

 

Nello scorso numero abbiamo osservato come il sistema degli endocannabinoidi influenzi il comportamento alimentare e come agire in un futuro ormai prossimo per tentare di tenere a bada il sistema stesso. Ci eravamo però lasciati con un conto in sospeso, una nuova possibile spiegazione per un gran numero di cambiamenti nell’atleta. Recenti ricerche indicano infatti che l’esercizio fisico sarebbe in grado di aumentare la concentrazione di endocannabinoidi, iperattivando dunque  il sistema (1, 2). La potenza e l’efficacia dei cannabinoidi nel ridurre il dolore è pari a quella della morfina, tanto è vero che in letteratura è largamente documentato come l’esercizio sopprima il dolore (3, 4, 5, 6), induca sedazione (7), riduca lo stress (8) ed elevi l’umore (9).

Il rilascio di endocannabinoidi avviene dopo soli due minuti dallo stimolo dolorifico: il primo ad aumentare è il 2-AG, seguito 7-15 minuti dopo dall’anandamide (10).

 

 

L’ipotesi delle endorfine

Fino a tempi recenti, un crescente numero di dati indicava le endorfine come responsabili della risposta allo stress, sia a livello centrale che periferico (11). Diversi autori proponevano questa via come responsabile dell’attenuazione della sensazione di dolore il giorno dopo la seduta. Notoriamente, infatti, l’espressione più esacerbata del tipico dolore da allenamento non giunge al termine della seduta né il giorno seguente, ma due giorni dopo, momento in cui - secondo tali Autori - sarebbe diminuita la produzione di endorfine, lasciando spazio alla manifestazione del dolore muscolare.

L’ipotesi delle endorfine, nel tempo, aveva però suscitato non poche perplessità (12, 13). Per esempio, le b-endorfine hanno una sequenza aminoacidica molto simile a quella di altri membri della famiglia della propriomelanocortina, come l’ACTH (ormone stressorio, noto per la peculiarità di aumentare con l’esercizio fisico), comportando una cross-reattività.

Inoltre, le b-endorfine si legano a certi recettori degli oppiodi (µ-opioid receptor), facenti parte di un sistema che media le proprietà analgesiche ed euforiche degli oppiodi.

Ancora, l’ipotesi delle endorfine è completamente basata su ricerche misuranti i livelli di endorfine solo nel sangue (notoriamente bassi), poiché ragioni etiche (la cavia va decapitata) impediscono la determinazione delle concentrazioni centrali: perciò, la circolazione sistemica non può essere presa come indicativa degli effetti centrali.

In conclusione, negli ultimi anni alcuni studi hanno pubblicamente criticato l’ipotesi endorfine definendola “un mito perpetrato dalla cultura popolare”, in quanto eccessivamente semplicistica, oltre che scarsamente supportata da evidenze scientifiche (12).

 

 

Effetti psicoattivi dei cannabinoidi

L’uso medico della marijuana (cannabinoide esogeno) è antico di diverse centinaia di anni, ma è stato solo nel 1800 che è emerso questo suo potenziale uso analgesico, conducendo all’identificazione del tetraidrocannabinolo (THC), il suo componente attivo (14). Il THC ha alta affinità per i recettori CB-1, che sono densamente espressi nella regione del cervello implicata nel controllo delle emozioni e della cognizione (15, 16). Questa distribuzione fornisce le basi per la spiegazione degli effetti psichici degli endocannabinoidi, tra cui uno dei principali è proprio l’induzione della sedazione (5). Inoltre, i cannabinoidi riducono l’ansia (17), alterano l’attenzione (18), la memoria  (19) e la percezione spazio-temporale (20). Infatti, gli utilizzatori di marijuana riportano spesso sensazioni peculiari: distorsione della percezione del tempo (21), euforia (22), benessere (17), ed uno stato di introspezione silenziosa.

 

 

Droghe e atleti

A questo punto penserete: cosa c’entrano ora gli utilizzatori di marijuana con gli atleti? Per quanto paradossale, un nesso c’è. Già, perché le intense esperienze psicologiche provate dagli utilizzatori di quel tipo di droga sono molto simili a quelle sperimentate da alcuni atleti: analgesia, sedazione, riduzione dell’ansia, euforia, difficoltà nello stimare il trascorrere del tempo (6, 7).

Rifletteteci un momento: non sono forse le stesse sensazioni che percepite solitamente dal termine della seduta a parecchie ore dopo. Eventuali dolori quasi scomparsi, meno nervosismo, sedazione (la nota “calma post-esercizio”), benessere mentale e generale. Un caso? La ricerca sembra dire di no.

 

 

Second wind

Uno stato di alterazione della coscienza è noto da tempo agli atleti di resistenza (23). Nei tardi anni ’60, questi cambiamenti psicologici associati ad attività fisica prolungata vennero definiti “second wind” (24), una condizione descritta soggettivamente in modo analogo a quello di molti utilizzatori di droghe: pura felicità, gioia, interminabile tranquillità, energia illimitata, armonia interna, una sensazione di unità con se stessi e/o con l'ambiente ed una riduzione della sensazione del dolore (25, 26).

Negli atleti, il fenomeno è stato tradizionalmente definito come una “sensazione euforica, solitamente inaspettata, sperimentata durante la corsa,  con la quale il soggetto avverte un’aumentata sensazione di benessere, un maggior apprezzamento della natura ed una percezione trascendentale della barriera spazio-temporale”. Probabilmente, però, una tale definizione è troppo estensiva e perciò è stata re-interpretata, in modo più limitato, come un fenomeno comprendente osservazioni comportamentali quali analgesia, sedazione (la sopracitata “calma post-esercizio”) e senso di benessere. A sostegno del parallelismo, queste descrizioni soggettive collimano con le sensazioni (percezioni distorte, alterati schemi mentali, diminuita consapevolezza dell’ambiente circostante, stato emozionale) descritte dagli utilizzatori di droghe in stato di trance (1).

C’è da sottolineare, tuttavia, che queste situazioni non si verificano pedissequamente in tutti gli atleti né si ripresentano per forza allo stesso atleta che le ha già sperimentate.

 

 

Quale dolore?

Sebbene esistano differenze strutturali, la somministrazione di anandamide produce gli stessi effetti del THC (27). Con riguardo all’analgesia indotta dall’esercizio, ci sono però alcune significative differenze tra gli oppioidi e gli endocannabinoidi. Ad esempio, esistono diversi tipi di dolore contro cui gli endocannabinoidi agiscono. Una determinata tipologia di esercitazione ad intensità moderata (es. corsa su tapis per 50’ al 70-80% della fcm) ha evidenziato di poter drammaticamente aumentare le concentrazioni di anandamide nel plasma (1). Ma è curioso che uno sport come il nuoto, ad esempio, benché rappresenti un’attività ritmica e ripetitiva come la corsa, a differenza di quest’ultima, non sembri attivare il sistema dell’analgesia, probabilmente per il fatto che, essendo tale sistema innescato attraverso i recettori CB-1 presenti nella pelle (16, 28, 29), il nuoto, non comportando alcun impatto con la superficie, non attiverebbe il sistema degli endocannabinoidi.

È comunque importante sottolineare che il fenomeno osservato negli atleti non produce gli effetti avversi degli oppiodi, quali depressione respiratoria o inibizione della motilità gastrointestinale.

 

 

Cannabinoidi e dipendenza

I cannabinoidi inducono un rilascio di dopamina (30) e ciò suggerirebbe che l’attivazione del sistema degli endocannabinoidi con l’esercizio possa essere causa di una dipendenza dall’esercizio stesso. A conferma di ciò, in seguito all’abuso di droghe, è stato osservato un aumento del CFR (corticotrophin releasing factor) e dell’attività della dopamina (31) e ciò potrebbe in parte essere responsabile dell’aumento dell’ansietà e della depressione che spesso accompagna l’astinenza da cannabinoidi  (32) e, forse, anche da esercizio. Già da oltre 25 anni, infatti, alcune tipologie di attività (come la corsa su lunghe distanze) sono state descritte come “causanti dipendenza” (33). Difatti, la somministrazione di antagonisti dei recettori dei cannabinoidi o della dopamina ha dimostrato di poter bloccare l’induzione dello stato di alterazione causato dall’esercizio.

Tuttavia, recenti studi hanno risolto tale diatriba sulle proprietà assuefanti dei cannabinoidi (34). Roditori esposti cronicamente ad alte dosi di THC e poi trattati con antagonisti dei recettori dei cannabinoidi, hanno mostrato segni della sindrome da astinenza, quali tremore degli arti e del corpo, brividi freddi, piloerezione, ipolocomozione, atassia, prurito. Negli uomini, gli stessi segni non sono stati osservati, probabilmente a causa della lunga emivita del THC e dei suoi metaboliti: questi sono infatti estremamente lipofili e quindi vengono conservati nei tessuti grassi e rilasciati lentamente in circolo una volta che l’astinenza sia iniziata.

 

 

Effetti periferici

Il sistema degli endocannabinoidi partecipa anche ad altre funzioni. L’anandamide, ad esempio, agisce da vasodilatatore, producendo ipotensione (35, 36, 37) e può così facilitare il flusso di sangue al muscolo esercitato.

Inoltre, i cannabinoidi influenzano il sistema respiratorio, agendo come broncodilatatori; conseguentemente, possono facilitare la respirazione durante l’esercizio (28).

 

 

Conclusioni

È dunque finalmente chiaro che, al contrario di quanto si credeva fino a poco tempo fa, non sono le endorfine le responsabili dell’attenuazione del dolore post-esercizio, ma il sistema degli endocannabinoidi. Ovviamente, ulteriori ricerche sono necessarie, in particolare per quanto riguarda fattori specifici, quali il tipo, la durata e l’intensità dell’attività svolta, il sesso, l’età. Resta però confermato che il sistema interviene a mediare molti effetti conseguenti all’allenamento, determinando un quadro psico-fisico analogo a quello sperimentato da molti utilizzatori di droghe (cannabis).

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BIBLIOGRAFIA

 

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