Dr. Giuseppe Musolino

 

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 Il dopo "Super Size Me": la riabilitazione dei McDonald’s.

 

 

Vengo anch’io

Tutti conoscono il nome di Morgan Spurlock, ma pochi quello di altri come Soso Whaley, Merab Morgan, Doug Lagelais, Chris Coleson. Chi sono? Tutti questi, in tempi diversi, hanno deciso di mangiare esclusivamente al McDonald’s… “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. Spurlock, nel 2002, fu il primo. Con il suo "Super Size Me", provò a dimostrare gli esiti nefasti di un’alimentazione condotta per trenta giorni esclusivamente nei Mc. Nel suo documentario, era arrivato a consumare circa 5000 calorie al giorno, mettendo su quasi dieci chili ed esponendo a grave repentaglio la sua salute. Glicemia, colesterolo, trigliceridi, uricemia, transaminasi: tutti i valori erano seriamente compromessi, tanto che i medici arrivarono a consigliargli di sospendere il test, avvertendolo che se avesse proseguito avrebbe rischiato anche di morire. Come sappiamo, però, il test giunse a conclusione ed il progressivo decadimento fisico del regista divenne il pretesto per rigirare il coltello nelle piaghe dei Mc. Ma già allora quell’esperimento risultava “viziato”, troppo “luogocomunista”, poco obiettivo. Si avvertiva da lontano la preterintenzionalità terroristica. Sembrava la foce di una corrente ingiuriosa che da tempo monta alla ricerca di un capro espiatorio per l’obesità. Un capro sacrificale che si immolasse al posto del nostro malcostume alimentare. Lo stigma dei mali di un universo pingue e no-global.

 

Fig. 1 Morgan Spurlock, il primo a realizzare un documentario sugli effetti di un’alimentazione condotta esclusivamente nei McDonald’s.

 

 

Aureomarchio

In definitiva, il film di Spurlock risultava scorretto. Troppa faziosità, troppe forzature. Perché mai mangiare quotidianamente nei fastfood? Perché mai prendere ogni giorno le porzioni “maxi”? Ma soprattutto, perché mai andarci per ben tre volte al giorno?! Se gli esperimenti fossero stati condotti nei medesimi termini in un qualunque altro ristorante, con ogni probabilità i risultati non sarebbero stati poi così diversi. Allora, perché accanirsi contro il solo Mc? Viene il sospetto che in questo modo si sia voluta sfruttare la popolarità dell’aureomarchio a doppioarco (provate a ripeterlo, ci viene bene uno scioglilingua tipo "Febbre da cavallo": “un whisky maschio senza rischio”). Difatti, "Super Size Me" non è rimasto un episodio isolato, ma è stato presto seguito da delle controrepliche. Degli esperimenti opposti, volti a confutare le tesi di Spurlock e a riabilitare il marchio in questione. Tanto che già sono stati coniati barbarismi come “Mcdieta”, “McZona”. E anche gli slogan fuorvianti si sprecano: “La rivincita del cheeseburger sulla dieta mediterranee”, “Mangiare da McDonald’s fa dimagrire”, “Vuoi dimagrire? Mangia da McDonald’s”. Giusto per creare ancora un po’ di caos in un settore - quello della dietetica - in cui le certezze già scarseggiano. La realtà è che anche questi contro-esperimenti risultano ugualmente discutibili.

 

 

Me and Mickey D

Soso Whaley, un’allevatrice di cani di Kensington (New Hampshire), fu la prima a replicare a Morgan Spurlock. Quasi in contemporanea con l’uscita nelle sale di "Super Size Me", la Whaley realizzò il suo documentario intitolato "Me and Mickey D" (gli americani chiamano il McDonald’s “Mickey Dees”, un termine risalente all’inizio degli anni 80, periodo in cui si affermarono le culture Hip Hop e Rap coi loro slang; “Mickey Dees” fu poi ulteriormente abbreviato in “Mickey D’s”, e questo a sua volta semplificato in “Mickey D”).

 

Fig. 2 Soso Whaley, la prima e più acerrima contestatrice di Spurlock e del suo Super Size Me.

 

 

Soso afferma di aver seguito per due mesi un’alimentazione di 1800-2000 calorie al giorno e di essere riuscita a perdere circa dodici chili, oltre ad aver abbassato il colesterolo di 40 punti (ma i detrattori hanno da subito contestato, sostenendo che lei abbia perso peso prima ancora che la dieta avesse inizio…). C’è da dire comunque che in questo contro-trial non erano previste le porzioni maxi e l’obbligo di completare ogni razione, come accadeva invece in "Super Size Me". Ma soprattutto, al contrario di Spurlock, il piano della Whaley si avvantaggiava di una discreta quantità di esercizio fisico e di una miglior struttura muscolare di partenza (Soso era stata anche campionessa di roller skater), tanto che lei stessa riconosce: “Ho più muscoli io nel mio bicipite sinistro che Spurlock in tutto il suo corpo”.

 

 

From Morgan to Morgan

Poco dopo l’uscita di "Me and Mickey D", Merab Morgan, una donna trentacinquenne del North Carolina, ha proseguito l’opera di contestazione nei confronti di "Super Size Me". Giustamente convinta che il problema non sia nel menù ma in ciò che si sceglie, Merab ha ripetuto l’esperimento, ottenendo risultati diametralmente opposti a quelli di Spurlock e simili a quelli della Whaley: mangiando da McDonald’s per tre mesi, è riuscita a perdere ben dodici chili. C’è tuttavia da osservare che anche lei, come la Whaley, oltre a optare per scelte più salutiste e a ridurre il numero di calorie assunte, ha inserito nel suo programma la regolare pratica di attività fisica, che ha contribuito in maniera rilevante al calo di peso.

 

Fig. 3 Merab Morgan, altra accanita contestatrice di Spurlock.

 

 

Minimize Me

Anche la risposta maschile non si è fatta attendere. Nel 2005, James Painter, un professore dell’Università dell’Illinois, ha condotto un mini-esperimento ricavandone un cortometraggio intitolato "Portion Size Me", in cui propone la storia di due studenti obesi che per un mese si alimentano esclusivamente al McDonald’s, perdendo alla fine peso e riducendo il proprio colesterolo (1). Nel 2006, Scott Caswell, un regista del New Jersey, ha realizzato un ulteriore documentario con se stesso come protagonista dal titolo "Bowling for Morgan" (dal più famoso "Bowling for Columbine", di Michael Moore), in cui anch’egli mangiava unicamente al Mc, ma optando per scelte più salutari e soprattutto evitando di abbuffarsi. In ultimo, dice di aver perso circa 16 chili, riducendo anche i livelli del suo colesterolo. Più interessante l’esperimento condotto nel 2007 da Fredrik Nystrom, un professore di un’Università svedese, che ha ripetuto il test su un gruppo di suoi studenti: 6000 kcal al giorno (anche se non tutte da fastfood), ma stavolta nessun esercizio fisico; anzi, gli studenti venivano addirittura fatti spostare in autobus finanche per brevi distanze. Al termine dello studio, tutti i partecipanti hanno visto aumentare il proprio peso del 5-15%, sentendosi stanchi e gonfi, ma non avvertendo alcun effetto sull’umore, cosa che invece aveva sperimentato Spurlock. Tutti hanno inoltre evidenziato incrementi nei valori delle transaminasi (2), ma nessuno a livelli preoccupanti. Tanto che si potrebbe congetturare che la maggior sofferenza epatica addotta da Spurlock nel suo film potesse essere figlia di problemi preesistenti e non diagnosticati, o addirittura dell’alimentazione vegan da lui abitualmente seguita prima di realizzare il documentario (la moglie di Spurlock è una vegan convinta), cosa che avrebbe potuto rendere il suo metabolismo maggiormente “intollerante” verso diete improvvisamente ricche di proteine animali, colesterolo e grassi saturi (3).

 

 

È tutto grasso che… Coleson

Chris Coleson, 42 anni, dello stato della Virginia, ha combattuto con il suo sovrappeso per anni. Nella sua famiglia c’erano stati diversi casi di malattie cardiache: un attacco di cuore aveva stroncato sua madre all’età di 62 anni, e suo padre ne aveva subito a sua volta uno all’età di 39. “Ci sono state notti in cui andavo a letto ed ero seriamente preoccupato di non svegliarmi la mattina successiva”, ha confessato in seguito, riconoscendo come la sua condizione sia stata certamente conseguenza di un’iperalimentazione (circa 5000 kcal al giorno nei suoi periodi “migliori”): “Certe volte mi sedevo davanti al frigo e mangiavo fino a svuotarlo. A volte mi è capitato anche di far fuori i pasti per i ragazzi che mia moglie aveva preparato la sera prima”. Quando nel 2008 Chris comunicò a sua moglie di voler dimagrire mangiando da McDonald’s, lei inizialmente lo prese per pazzo. Ma poi, vedendo i risultati del marito, che da 91 chili è arrivato in sei mesi a pesarne 65, riducendo la sua circonferenza vita da 127 a 91 centimetri, anche lei ha deciso di provarci, riuscendo a perdere circa dieci chili.

 

Fig. 4 Chris Coleson: sostiene di aver perso circa 26 chili in sei mesi consumando esclusivamente pasti da McDonald’s.

 

 

Questo è quanto raccontato dai protagonisti. C’è da dire però che Coleson, dalle 5000 kcal che abitualmente introduceva, è arrivato ad assumerne solo 1400, una quota ben al di sotto di quella considerata ottimale per un uomo della sua stazza. Di più, quella è quanto viene solitamente definita una “starvation diet”, una dieta da fame. I suoi pasti consistevano infatti di grosse porzioni di insalate, modeste razioni di pollo alla piastra e snack alla frutta, integrati occasionalmente da un hamburger. In più, anche Coleson ha preso a muoversi di più, iniziando a praticare un paio di esercitazioni fisiche alla settimana, cosa che in passato mai aveva fatto. Prima, anzi, come ammette egli stesso, aveva il fiatone “solo a salire quattro scalini”.

 

Fig. 5 Altro “prima e dopo” di Chris Coleson.

  

  

I’m losing it

Doug Lagelais, 40 anni, è stato l’ultimo in ordine di tempo a gettarsi in un’avventura simile. Era cosciente che il suo stato di salute non fosse un granché, e anche per questo in passato si era stremato con diete di ogni tipo. La molla è scattata all’inizio di quest’anno, quando, confrontandosi con una smunta tabellina del BMI, scoprì di essere classificato come obeso. Doug adora il McDonald’s, perciò pensò: realmente non esiste modo di coniugare dimagrimento e fastfood? E ragionandoci su, arrivò alla conclusione che “se si fanno delle scelte intelligenti, non esiste ristorante in cui non si possa mangiare pur volendo dimagrire”. Così, individuò i cibi più idonei (grandi quantità di insalate, pollo alla griglia e frutta, piuttosto che Big Mac, patatine e milk-shake) e, consumandoli quotidianamente nel suo fastfood preferito, arrivò a perdere circa sette chili in un mese. Anche qui, però, c’è il trucco sotto. Innanzitutto, proprio come molti suoi predecessori, oltre a ridurre in maniera sostanziale il numero di calorie assunte, anch’egli ha preso a praticare con regolarità un’ora di palestra al giorno, tra cardio, pesi e corpo libero. Poi, come nel più classico dei “prima e dopo”, si nota come a fine trattamento sia abbronzato, sorridente e tonico mentre all’inizio appaia flaccido, triste e smorto.

I'm doping it…

  

  

Archi di trionfo

Il tallone d’Achille di tutte queste storie è che si tratta di test “ruspanti”, “alla buona”, non certo di studi scientifici: non c’è un campione valido, non ci sono dati oggettivi, non c’è una validazione medico-scientifica. Whaley, Morgan, Caswell, Coleson, Lagelais, tutti loro hanno ammesso pubblicamente di aver evitato il consumo delle portate più “pericolose”, come patatine, cibi fritti, salse, porzioni maxi, e di aver scelto piatti a base di insalate, pollo alla piastra e snack di frutta, mediamente per un totale di circa 1200-1400 calorie al giorno. E già questo fa molta differenza rispetto al test di Spurlock, che di calorie ne prevedeva 5000. Ma soprattutto hanno inserito nelle loro giornate una regolare dose di attività fisica, assente tanto nel loro passato quanto nell’esperimento di Spurlock.

Ma poi, tralasciando il dato soggettivo che, come per "Super Size Me", tutto pare alquanto enfatizzato, bisogna riconoscere che non si può esser certi che i protagonisti di questi contro-trial abbiano effettivamente consumato i propri pasti sempre nei Mc. Anzi, il fatto che non si sia estesa la valutazione anche ad altri fastfood, ma ci si sia concentrati esclusivamente sui McDonald’s, elaborandone valutazioni estremamente positive, fa dubitare non poco sull’attendibilità dei risultati e sulla buona fede degli autori. Il messaggio che filtra con troppa leggerezza è: mangiamo liberamente al Mc, non solo non si ingrassa, ma addirittura si può dimagrire!

  

 

‘Uozzamerica

Tutto ciò lascia passare un concetto erroneo ad una società già di per sé nutrizionalmente errante. E infatti l’esaltazione di qualcuno in rete non si è fatta attendere: “Finalmente ora c’è una valida controprova che mangiare al fastfood sia salutare!”, “E ora, vai con un doppio Big Juicy King con sopra tutti gli extra, un King Vanilla Shake e una montagna di patatine di contorno!”, “Questa è la definitiva attestazione della superiorità carnivora su quella vegetariana”, “Mio marito lavora al Mc, ora potrà iniziare questa dieta e finalmente dimagrire mangiando quello che più gli piace!”.

Fin quando permarrà questo atteggiamento dicotomico, il problema dell’obesità… continuerà a ingrassare. Come era sbagliato il messaggio dogmatico lasciato da Spurlock (“mangiare al Mc fa assolutamente male”), altrettanto lo è quello liberale propugnato dai suoi antagonisti (“mangiare al Mc fa dimagrire”). Il McDonald’s dovrebbe rimanere un punto di evasione. Il luogo dove continuare a nutrire i nostri sogni. Quello in cui recarsi di tanto in tanto per gustare in assoluta spensieratezza il proprio panino preferito, e non certo una triste insalatina. Lo si lasci fuori da abiette questioni dietetiche. Il posto dove siamo sempre andati a ritrovare l’America e i suoi miti. Il poster di Jamesdean a ricordarci ciò che mai saremmo stati, e quello di Mericoninando a ridere di ciò che eravamo. 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1. EIU Prof’s “Portion Size Me” says bring on the fastfood – In moderation, Eastern Illinois University, 17 Oct 2005.

 

2. Groch J, Fast-food bender can convert to liver damage softly, MedPage Today, 14 Feb 2008.

 

3. Nystrom FH et al, Fastfood based hyper-alimentation can induce rapid and profound elevation of serum alanine aminotransferase in healthy subjects, GUT, 57, 649-654, 2008.