La gavetta e la presunzione

 

 

A qualcuno sembra strano che a volte io mi ponga in un modo che potrebbe farmi apparire presuntuoso e arrogante. Allora ho pensato che è bene che spieghi alcune cose, in modo che poi ognuno possa trarre le proprie conclusioni.

 

Quando decisi di prendere la seconda laurea, preparai le valigie e me ne andai. A capo chino e in silenzio. Avevo già tutta la carriera agonistica alle spalle, ma nessuno dei miei colleghi di università ha mai saputo niente. A proposito di presunzione…


Quando mi laureai, tornai nella mia città. Significava ripartire da zero. Dopo anni in cui sei stato lontano, la gente si è dimenticata di te e tocca ricominciare da capo. Da zero. E così ancora a capo chino, preparai un curriculum e cominciai a girare le palestre per proporre una forma di collaborazione.

 

Aspetta che lo ripeto: io, con due lauree, presi il curriculum e lo portai gente che nella maggior parte dei casi non aveva (non ha) nemmeno la terza media, ma che grazie all’aiutino di papà a venti-venticinque anni aveva aperto palestre. Sempre a proposito di mancanza di umiltà…

 

Le girai quasi tutte, per non dire tutte. Da alcuni evitai proprio di andare disgustato da come andavano le visite a quei sepolcri. Vedevo il vuoto nelle loro espressioni, sorridevano come degli ebeti, annuivano come dei decerebrati, e io sapevo benissimo cosa significava.

 

È bene che vi precisi anche la proposta che avanzavo: “Tu mi chiami quando c’è qualche tuo cliente che abbia bisogno di una consulenza nutrizionale, e io ti mollo il 30% del mio compenso”. Tradotto ulteriormente per i più tardoni: tu non sborsi un centesimo e in cambio ti entra il 30% del mio lavoro. Non solo, non c’è neanche bisogno che i tuoi clienti si mettano in macchina per raggiungermi: vengo io da te nella tua palestra.


Sapete quanti di questi mi fecero lavorare? Uno. Uno solo, cui sono grato ma con cui le visite raramente superavano il paio a mesi alterni.

 

Provai anche a portare il curriculum nelle cliniche private. Qualcuno in via amichevole arrivò a dirmi in modo schietto: “Guardi, le parlo chiaramente, è anche inutile che porti il curriculum perché nella maggior parte dei casi finisce in un cassetto senza nemmeno essere sfogliato”. 

Per farla breve, fui costretto a riprendere le valigie e a emigrare di nuovo. E per anni vagai per il nord Italia. A capo chino, da solo e in silenzio. Sempre a proposito di mancanza di umiltà.

 

Di scuola in scuola, di clinica in clinica, di ospedale in ospedale, di treno in treno.

 

E anche lì, in qualunque città andassi tenevo sempre nascosti i miei trascorsi agonistici. Sempre a proposito di mancanza di umiltà.

 

Dimagrii, ovviamente. Dovreste vedere come si mangia nelle mense degli ospedali, e sinceramente di portarmi il cibo da casa dopo averlo fatto per anni non mi andava più. Solo un folle avrebbe potuto pensare che avrei potuto mantenere le masse che avevo quando mi dedicavo totalmente all’agonismo.


Alla fine, dopo anni di nomadismo tornai alla base, e col piccolo bagaglio di esperienze maturato decisi di mettermi in proprio, aprire uno studio e dedicarmi a tempo pieno alla libera professione. Il che ancora una volta è significato ripartire da zero.

 

E ora sono qua, a mettere e togliere una maschera a seconda delle necessità.

 

Ecco, ora hai elementi a sufficienza per deliberare. Ora puoi venirmi a dire che sono presuntuoso e aggressivo e duro e polemico e permaloso… Nel frattempo, però, forse è opportuno che prima la indossi anche tu, una maschera. 

 

 

 

 

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